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lunedì, dicembre 31, 2007

La fisiologia delle emozioni. a cura del dr. Antonello Musso

La fisiologia delle emozioni. a cura del dr. Antonello Musso

Nel profondo del nostro dna, fra le tante informazioni più o meno nascoste, si celano gli istinti, retaggio del nostro passato animale.
La paura? si tratta dell'impulso della preda che si immobilizza di fronte al pericolo sperando di farla franca;
la collera? reazione del capo branco che manifesta il suo potere di fronte ad un giovane maschio un pò troppo, prematuramente ambizioso;
la gioia? un segno di pace e di collaborazione rivolto ai nostri simili.
Immediate ed imprevedibili, le emozioni riportano alla luce i pensieri più elementari, a volte in momenti poco opportuni, e possono entrare in contrasto con la nostra mente razionale; non possiamo fare a meno di queste reazioni: senza di esse il nostro cervello farebbe molta fatica a funzionare bene.
Phineas Gage.
Nel 1848 questo giovane impiegato delle ferrovie americane, in realtà un pò maldestro, fece espodere accidentalmente una mina. Venne colpito da una sbarra di ferro di circa 6 kg che gli attraversò la guancia sinistra, il cranio e la parte anteriore del cervello per poi uscirne a e cadere una trentina di metri più in là.
Sopravvisse ed in meno di due mesi era di nuovo in piedi, comportandosi però in modo diverso da prima: molto irritabile, sempre insoddisfatto e soprattutto incapace di prendere una decisione semplice come ad esempio scegliere quale vestito indossare.
Solo nel 1994, due studiosi americani (Antonio e Hanna Damasio), analizzando il cranio conservato al Warren medical museum di Harvard, deussero che la zona colpita era la corteccia orbito-frontale.
Tutti coloro che per un motivo o per l'altro avevano subito lesioni in questa parte del cranio, erano incapaci di prendere le decisioni più semplici o addirittura banali.
Per i neurologi non sussistono dubbi: alle riflessioni di queste persone, manca l'elemento essenziale delle emozioni.
altri esperimenti dimostrarono che facendo osservare a queste persone immagini raccapriccianti, esse ammettono che sono insostenibili, ma anche che non provano sentimenti di terrore.
Quando un problema si pone al nostro cervello, ad esempio cosa farò nel fine settimana, la mente passa in rassegna ogni possibile soluzione; ad ogni scenario si scatena una mini reazione emotiva che etichetta letteralmente ogni risposta.
In questo modo il cervello effettua una prima selezione basata sul piacere, sulla tristezza, sulla noia ecc.
Il resto del lavoro viene fatto dalla ragione ("resto a casa così risparmio") e dalla memoria (" in montagna ci sono stato l'altro week end").
Al termine la decisione.
Dunque le emozioni sarebbero un meraviglioso stimolo per ragionare, decidere o semplicemente per decifrare il mondo. Se esso infatti trattasse tutti i dati che gli arrivano dall'estero e dall'interno, presto sarebbe saturo. Allora le emozioni lo aiutano a fare una cernita di ciò che in quel momento è meglio per noi.
Durante una passeggiata, molti stimoli emotivi ci colpiscono, ma se un'auto cerca di investirci, questo fatto genera una reazione emotiva assai maggiore dl cinguettio degli uccelli che ci ha colpito un momento prima; in tal modo possiamo scansare il pericolo preservando la nostra persona.
Inoltre le emozioni ci permettono di dialogare in modo diverso e senza l'uso della ragione con i nostri simili. Intuire che quella persona si prende gioco di noi o è in collera o ci vuole impressionare, ci permette di decifrare il senso reale delle sue parole; tra madre e bimbo, esso è l'unico primitivo linguaggio coerente.
Il centro del cervello che scatena le emozioni è l'amigdala; ciò accade sia in modo interno attraverso una analisi introspettiva, sia copiando dall'esterno emozioni altrui e rivivendole come proprie. Per questo se ad un funerale tutti piangono, anche noi lo facciamo o se tutti esultano ad un gol, anche noi ci uniformiamo.
Ecco perchè la vita deve avere ogni tanto, delle emozioni





lunedì, dicembre 24, 2007

Articolo prova

Nuovi articoli 2007/2008 

Dr. Marco Chisotti
Psicologo Psicoterapeuta IpnosiTerapeuta
 Via Martiri della Libertà 9 10020 Lauriano Torino
Tel 0119187173 /  3356875991




Dr. Marco Chisotti
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 Via Martiri della Libertà 9 10020 Lauriano Torino
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domenica, luglio 22, 2007

Master estivo San Sebastiano 2007 foto di gruppo


A conclusine del master estivo di Ipnosi Costruttivsta di SanSebastiano un saluto a tutti dallo staff dell'AERF

venerdì, aprile 20, 2007

LA SEMEIOTICA FRA MEDICINA E PSICOTERAPIA: PARALLELISMI E SIMILITUDINI (di Marco Chisotti & Antonello Musso)

Intendendo per semeiotica la scienza dell'osservazione naturalistica dei soggetti nelle loro manifestazioni di disagio fisico o mentale, ci apprestiamo a scivere un parallelismo fra le due scienze che curano l'essere umano.

Quando la persona si presenta a noi con un problema, essa ci parla con il linguaggio del corpo e della mente che più le si confà, sia verbale (diretto o indiretto) sia non-verbale che paraverbale.Dal punto di vista verbale, ogni persona con il suo vocabolario, descrive il suo stato partendo dalla sua auto-osservazione ed autoanalisi, talvolta esprimendo il problema direttamente (magari come diagnosi ricevuta), talvolta nascondendoselo evitando di affrontarlo direttamente, in qualche caso celandolo involontariamente dietro un altro disagio di cui parlano ed al quale danno importanza primaria.

Il dialogo non-verbale, cioè quello fatto di gestualità, postura, attegiamenti, mimica facciale, e quello paraverbale (tono, timbro, ritmo, volume della voce) talvolta accompagnano in modo congruo ed efficace la descrizione verbale, taloro sono esattamente agli opposti.Curiosamente le persone possono dialogare con i propri interlocutori o aprire una discussione con le due parti (razionale ed inconscia) che costituiscono l'essenza della persona stessa.

Qualunque sia l'interlocutore esterno per il soggetto, può giocare un ruolo passivo o attivo: può essere una fonte di accrescimento e terapia, o un pretesto per mantenere la convinzione da cui il paziente è partito.

Il terapeuta sia esso medico o psicoterapeuta, deve essere attento a distinguere il"vero dal falso".

L'esame del paziente da parte del medico che descrive un dolore toracico, deve tener conto di tutta una serie di manifestazioni cliniche e di segni inequivocabili, che esulano dalla descrizione del soggetto stesso e che devono essere ricercati ed osservati con attenta analisi.

A livello psicoterapeutico ciò avviene attraverso l'analisi linguistica operando il tentativo di far emergere la struttura profonda, partendo dalle "cancellazioni", "deformazioni", "nominalizzazioni" che la mappa che la persona si è costruita evidenzia.

Detto questo, nell'ambito medico, si può dedurre quanto la semeiotica sia importante per ottenere e mantenere una relazione con il paziente che è fatta di dialogo e sincronizzazioni delle menti e dei corpi:

in fondo il bravo medico parla con le persone su due livelli, in primis il dialogo che sincronizza razionalmente i due "cervelli" (o tre se teniamo conto anche dell'interlocutore interno della persona), in secondo luogo i corpi. Il paziente viene dunque soddisfatto sia a livello mentale ( è stato ascoltato e razionalmente/scientificamente edotto in merito ai suoi problemi), sia a livello inconscio tramite le rassicurazioni che il medico offre con la sua saggia ed incoraggiante gestualità (la carezza d'incoraggiamento al termine della visita fisica vera e propria che viene letta dal corpo come un prendersi cura di sè); anche in caso di diagnosi impegnative per la gestione, si aprirebbe e si lascerebbe uno spiraglio di speranza e di non-abbandono.

Utilizzando la psicoterapia l'utilità dell'uso della semeiotica( che in campo psicologico rappresenta la nostra storia, cioè l'idea che ci siamo fatti di noi, della nostra vita, del mondo) ha molteplici punti di forza:

a) conoscere l'idea che il paziente si è fatto di sè (la storia che ci racconta e che si racconta)

b) creare una relazione con il paziente (la storia che creiamo con il paziente)

c) sincronizzarsi con i comportamenti verbali, non- verbali e paraverbali del soggetto (per raggiungere la consapevolezza della storia che emerge dal dialogo)

d) la definizione condivisa del problema (mutual telling story, raccontata da entrambi i protagonisti)

e) definizione condivisa della cura (raccontarsi la storia che cura)

Infatti tutto ciò che viene detto è frutto di osservazioni che il soggetto così come il terapeuta, effettua naturalmente nel corso della propria vita e che scaturiscono dalle esperienze maturate ed elaborate in forma di racconto.

I terapeuti siano essi medici del corpo o dello spirito, pur non rinunciando al lavoro nelle terre di confine del tecnicismo o dell'empirismo, devono mantenere la visione unitaria ed umana del paziente, dunque un corpo non costituito da elementi distaccati fra loro ed uniti alla mente, ed al contempo una persona non isolata nel suo contesto di sofferenza, ma integrata in una visione di condivisione e compassione del disagio.

domenica, febbraio 18, 2007

L'ARTE DI COMUNICARE NELLE RELAZIONI D'AIUTO. Marco Chisotti - Costanza Battistini


Non è possibile non comunicare, comunichiamo sempre. Ogni silenzio, ogni piccolo cenno, esitazione sussulto costituiscono un elemento di comunicazione per le altre persone: non possiamo sottrarci dunque. Si comunica costantemente col corpo, con la voce, attraverso i contenuti che usiamo nel nostro comunicare. 

Comunichiamo noi stessi, la nostra presenza, la nostra identità, comunichiamo i nostri contenuti e contemporaneamente parliamo della nostra relazione con gli altri.

Quando parliamo ci esprimiamo, non possiamo prescindere da noi stessi, da chi siamo, da come siamo, da come ci muoviamo: ogni cosa di noi passa per essere un messaggio che viene punteggiato dal nostro interlocutore, che a sua volta  riempie la cornice di significati.

Parlare, comunicare ed esprimersi sono azioni cognitive complesse che definiamo pensiero. Il pensare è il lavoro della nostra intelligenza in ogni sua sfaccettatura, l'intelligenza è il prodotto dei nostri cervelli: ogni relazione interpersonale è dunque il risultato di una complessa attività mentale, a sua volta frutto di un complesso lavoro cognitivo.

Noi non possiamo prescindere da come siamo fatti per analizzare chi siamo, cosa facciamo, dove andiamo; ogni elemento della nostra storia passa attraverso noi stessi, la nostra conformazione. Ogni idea ed  ogni pensiero che esprimiamo, si sviluppano attraverso l'intera nostra organizzazione fisica e mentale.

La nostra conoscenza ci accompagna costantemente: noi siamo ciò che pensiamo di essere, e pensiamo attraverso le nostre conoscenze. La conoscenza ci dà grande libertà tracciando al contempo i confini della nostra persona e i suoi limiti: la conoscenza obbliga ed al contempo ci libera.

Non siamo macchine banali che tendono a dare sempre la stessa risposta, ma siamo esseri indipendenti, autonomi prodotti del nostro stesso pensare, il dialogo con cui conosciamo noi stessi, ci comportiamo, manifestiamo la vita in ogni sua rappresentazione.

Il comunicare troppo spesso viene considerato un semplice esprimere un concetto, tanto che si dimentica la complessità di una tale esperienza, passando il comunicare come un insieme di tecniche, modi di fare, modi di dire. Il mondo della comunicazione inizia dove finisce quello delle tecniche, disvelando tutta l'arte che possiede.

Ogni nostra esperienza è la causa della realtà, che ne è la conseguenza. Comunicare è avere un esperienza con altre persone nel tentativo di condividere la realtà stessa, e la sua conoscenza è il frutto di questo orientamento condiviso.

In ogni comunicazione ci sono sempre una persona che guida la conversazione ed un'altra che ne viene guidata; le due diverse intenzioni portano però ad una complessa danza, che crea il senso stesso del capire l'altro, ciò che intende, che pensa, che crede, ed il risultato ultimo sono la condivisione e la comprensione.

Il possesso  non appartiene all'arte del comunicare, poiché non esiste espressione di pensiero unidirezionale: ogni pensiero, anche il nostro intimo dialogo interno, è sempre un dialogo dove son presenti almeno due interlocutori.

Viviamo attraverso la nostra identità. Si potrebbe dire che la vita è ospitata nella nostra storia, che è presente nell'idea di noi stessi. Il pensare è strettamente collegato al sentire: percepiamo e contemporaneamente pensiamo, riconosciamo ciò che percepiamo nello stesso tempo in cui lo pensiamo e dato che tendiamo a collegare il pensiero ad uno scopo, ogni percezione porta con sé un riconoscimento ed un utilizzo, così la comunicazione porta con sé sempre un fine.

Viviamo in uno stato mentale, in un equilibrio tra pensieri e sensazioni dove gli uni accompagnano gli altri, ed i nostri pensieri sono costantemente influenzati dai nostri umori così come gli umori sono influenzati dai nostri pensieri.

Un buon ascoltatore è un buon comunicatore: quando ascolti lasci da parte le tue credenze, le tue convinzioni ed il tuo mondo per entrare in quello dell'altro.

Chi non fa esperienze non ha un mondo in cui vivere. L'esperienza comunicativa diviene fondamentale per chi ha poche occasioni di relazionarsi con gli altri, e l'ascolto diventa il momento in cui si costruiscono e definiscono reciprocamente i nostri mondi e la nostra identità.

Il reale scopo della comunicazione è condividere una realtà, e nelle relazioni d'aiuto è fondamentale rispettare il principio etico della filosofia costruttivista (Heinz von Foerster) che suggerisce di dare alla persona molte possibilità di scelta, ed il principio estetico che indica come unica strada per la conoscenza quella dell'azione: se vuoi conoscere devi agire.





giovedì, gennaio 25, 2007

La nascita della psicologia costruttivista: George A. Kelly di Ennio
Martignago

presente nel nostro sito dell’associazione ASPeC www.apsec.it

Diversamente da quanti ritengono che il costruttivismo in psicologia
nasca con gli allievi e seguaci di Gregory Bateson, il suo esordio si
deve ad uno "psicologo per caso", che aveva studiato da fisico e
matematico e che per questo fu un grande metodologo e non perdette
l'inclinazione a cercare delle leggi "fisiche" alla condotta umana,
ma che non fece mai il mestiere per cui aveva studiato, finendo per
dare un impulso tale alla psicologia contemporanea finire incompreso
ai suoi coetanei e riscoperto solo 30 - 40 anni dopo, quando gran
parte delle sue concezioni erano emerse da altri studiosi. Oggi ne
riscopriamo continuamente aspetti innovativi ancora poco sfruttati,
ma forse il suo destino sarà di essere incompreso fino a quando non
finirà superato dopo che per altre vie saranno del tutto comprese le
sue idee.
Una prova di questa situazione è il fatto che ancora oggi non ci sia
una traduzione completa delle sue opere principali e che solo nel
2004 uscì la traduzione - incompleta - delle parti principali de "La
psicologia dei costrutti personali".

George Alexander Kelly, classe 1905, aveva in comune con Milton
Erickson, la nascita in una fattoria sperduta e un'infanzia di
povertà nel Kansas. Educato da dei genitori in continua ricerca di
fortuna, da ultimi coloni della frontiera americana, senza una
stabile dimora né centri urbani nelle vicinanze, venne educato in
famiglia e passò direttamente dagli studi autarchici a quelli
universitari, appunto di matematica e fisica. Il suo futuro non
doveva apparirgli così chiaro, visto che passava dalla tentazione di
seguire studi ingegneristici all'attività di insegnamento di lingue e
arte drammatica. Questo fino a che, all'età di 24 anni, vinse una
borsa di studio per conseguire il bacalaureato in pedagogia
all'Università di Edimburgo con un mentore che era al contempo
statistico e pedagogista e che lo introdusse agli studi di
psicologia, che proseguì poi al suo ritorno negli Stati Uniti fino al
1931, quando a 26 anni conseguì il Ph.D. con una tesi sui disturbi
del linguaggio e della scrittura. Allo scoppio della crisi economica
abbandonò definitivamente gli studi per un intenso periodo di
volontariato, un programma di cliniche psicologiche ambulanti che
portavano aiuto a quelli che non avrebbero potuto cercarselo.
Un'esperienza intensiva e una ricerca-azione sul campo con migliaia
di casi che fornirono le basi per un pensiero personale alla teoria
della personalità e alla terapia. Nonostante avesse consultato Freud,
Moreno, Korzybski e altri, la natura autarchica della sua formazione
rafforzata dall'esperienza sul campo furono forse la ragione
principale della libertà di pensiero e dell'originalità delle idee.
La sua storia di clinico si chiude alla fine della guerra con degli
incarichi universitari, succedendo allo stesso Carl Rogers. Da allora
la sua attività pubblicistica è stata inarrestabile, anche se in gran
parte dimenticata o non pubblicata, quasi presentendo che la morte
per lui sarebbe giunta precoce, all'età di 62 anni.
kelly3
La psicologia dei costrutti personali
Nelle intenzioni di Kelly vi era era quella di ridefinire la
psicologia, crearne una avente come oggetto centrale la persona nella
sua unità irriducibile, e proponeva questa teoria in alternativa alle
altre già note, non in contrapposizione con esse. Tante sono le
parentele teoriche e soprattutto metodologiche riscontrabili tra
Kelly e Wittgenstein da lasciare sospettare che vi siano state delle
contaminazioni. Pur essendovi delle constatazioni indiziarie (Kelly
ha maturato il suo interesse per la psicologia in Gran Bretagna dove
lavorava anche Wittgenstein; entrambi hanno dato rilievo allo studio
del linguaggio, entrambi avevano radici matematiche…), non vi sono
prove in tal senso. Rimane che li dubbio sistematico sulle conoscenze
umane e sui fondamenti della realtà è comune ad entrambi, come pure
la metodologia logica stringente e sistematica. Il punto di partenza
dell'americano è la messa in dubbio dell'universo stesso (quello che
diversi decenni dopo Stewart Brand definirà in espansione nella
misura in cui si modificano le lenti dei nostri telescopi - come dire
che l'universo è ciò che la nostra mente e i mezzi che scegliamo
vogliono vedere di esso). Egli parte dal presupposto che, appunto, le
nostre conoscenze o interpretazioni al suo proposito mutino in
continuazione. Coesisterebbero, almeno potenzialmente (come
immaginava anche lo scrittore Phil Dick), delle alternative di
rappresentazione che danno origine ad una posizione metodologica
definita "alternativismo costruttivo". Ovverosia, trasferito sulla
persona, che la persona non ha un'unica biografia, tutta d'un pezzo,
dalla quale dover dipendere, ma che la personalità dell'individuo -
quanto meno la rappresentazione che egli ne ha - è multidimensionale:
siamo nel contempo più copioni simultanei e potenziali vite parallele
in continuo cambiamento.
La metafora da cui si origina il pensiero di Kelly è quasi
autobiografica ed è quella dell’uomo/scienziato per la quale ogni
individuo è come uno scienziato continuamente impegnato nel tentativo
di dare un senso al mondo che sperimenta, di anticipare gli eventi in
cui è coinvolto, elaborare proprie teorie, sperimentare le proprie
ipotesi e valutare i propri lati pratici. Quindi, le regole di
condotta di uno scienziato rappresentano un modello generale per
indagare le regole di condotta delle persone. Il motore segreto di
questo processo sperimentale risiede nelle dinamiche
dell'apprendimento che per Kelly non è un semplice comportamento, ma
piuttosto una dimensione di ordine superiore a quelle descritte nella
teoria. “L’apprendimento non è una speciale sottoclasse dei processi
psicologici; esso è sinonimo di ogni processo psicologico. Non è
qualcosa che accade ad una persona in particolari circostanze ma è
ciò che in primo luogo la rende persona.”
"L’assunto è che di qualsiasi natura possa essere, o in qualsiasi
modo risulti alla fine la ricerca della verità, gli eventi che oggi
affrontiamo sono soggetti a tante costruzioni numerose quanto le
nostre facoltà ci permettono di concepire. Ciò non vuol dire che una
costruzione sia buona come qualsiasi altra (…) ma ci fa ricordare che
tutte le nostre percezioni attuali sono aperte alla discussione e
alla riconsiderazione, e suggerisce ampiamente che persino gli
accadimenti più ovvi della vita quotidiana potrebbero rivelarsi
totalmente trasformati se fossimo sufficientemente inventivi da
costruirli in maniera diversa.”
Kelly non ritiene insomma possibile avere un contatto diretto con la
realtà, percepirla in maniera diretta, senza alcun tipo di
interpretazione. La sola cosa (che ci è) concessa è fare ipotesi su
ciò che la realtà è, per poi verificarne o meno l’utilità.
L’anticipazione rappresenta il tentativo di costruire invarianti per
imporre un minimo d’ordine alla realtà, assimilarne e differenziarne
i diversi elementi. Kelly sostiene che ciascuno ha la propria visione
del mondo (la teoria), le proprie aspettative rispetto a ciò che
accadrà in determinate situazioni (ipotesi), e che il comportamento è
un continuo esperimento dotato di significato, che può cambiare,
venire elaborato, e che è negoziato.
“Una persona è ciò che fa” ci dice Kelly. Abbiamo visto come anche lo
psicologo approcci la realtà attraverso particolari “lenti” (mappe
cognitive e schemi), e nell’approccio all’ “altro” (che in questo
orientamento è una “situazione” che nasce dall’interazione tra ciò
che egli dice di sé e le categorie di chi l’osserva) le opinioni, le
convinzioni, i giudizi che lo psicologo si forma sul paziente saranno
preordinati ed organizzati dagli Schemi di Tipizzazione della
Personalità.
La funzione dello psicologo o del counselor consiste nel leggere le
realtà del cliente per comprenderne meglio il funzionamento mentale
tramite l'uso di parole ed azioni. Si tratta di "agenti che danno la
possibilità al cliente di ripensarsi in altro modo".

I costrutti e i loro corollari
Sicuramente quelle di Kelly sono delle folgoranti illuminazioni nella
storia della psicologia e in particolare di quella applicata.
Tuttavia, la sua attività accademica, le basi formative ed il periodo
storico in cui visse lo spinsero ad una sistematizzazione del
pensiero che alla luce degli sviluppi odierni del costruttivismo
poteva non essere indispensabile e che poté influenzare la percezione
del suo messaggio disperdendolo in leggi logiche talora oscure e meno
potenti del messaggio di base. Da questo lavoro salta agli occhi la
preoccupazione di dimostrare tutta la forza ideativa del suo modello
di uomo ricercatore a razionalità limitata, immerso in una realtà
sperimentale a scarto ridotto e basta su fondamenti provvisori. Il
postulato e i corollari del costruttivismo andrebbero letti in questa
chiave, ovvero della possibilità di cambiare le regole della
psicologia e rappresentarla al di là delle due o tre metafore
dominanti, da quella psicopatologica a quella comportamentista.

"Un costrutto, come la stessa radice semantica lascia intuire, è
l'unità elementare di discriminazione attraverso la quale si attua il
processo di costruzione. (…) I costrutti sono le chiavi di lettura
che rendono il mondo intelligibile: se non disponessimo di tali
criteri di discriminazione, il fluire degli eventi ci apparirebbe
indifferenziato e di conseguenza privo di significato”
“Un costrutto non è né un “pensiero” né una “sensazione”: è un
atto di conoscenza. Si tratta della discriminazione che può essere
operata sulla base di un pensiero razionale, è parte del modo in cui
ci poniamo davanti al mondo come persone complete “

La logica di Kelly è di tipo "geometrico", fatta di postulati e
corollari.
Il postulato fondamentale consiste nel considerare i comportamenti
delle persone diversi da delle reazioni a stimoli e rinforzi, ma
piuttosto come espressioni di progetti e intenzioni basate su una
struttura linguistica in continuo movimento e mutamento. L'essere
umano si organizza come uno scienziato che costruisce continue
ipotesi al fine di prevedere gli eventi futuri. Invece di comportarci
in conseguenza agli eventi del passato (come vorrebbe l'archeologia
psicanalitica), mettiamo in atto la realtà e i comportamenti che più
favoriscono, anticipandola, la previsione formulata che guida i
nostri passi.
Il primo corollario (della costruzione) che deriva da questo
postulato è che “Una persona anticipa gli eventi costruendone le
repliche” (Kelly. 1963, p. 50). Questo ricorda il principio della
coazione a ripetere freudiana, ma al contrario. Per fare sì che il
presente sia una versione integrale del futuro costruiamo delle
simulazioni delle nostre anticipazioni, come se fossero delle
sperimentazioni di laboratorio (il presente è il laboratorio del
futuro).
Il corollario dell'individualità asserisce che la diversità
individuale si basa sulle modalità di anticipare il futuro: “Le
persone differiscono l'una dall'altra nella loro costruzione degli
eventi” (Kelly. 1963, p. 55). Ogni persona, infatti, perché
attribuisce un diverso significato alle stesse esperienze e agli
stessi eventi. La sola opportunità che le persone hanno per
comprendersi consiste nel trovare un accordo per condividere le
weltanshauung, interpretando e integrando fra loro i costrutti,
lavorando sui modelli linguistici sul senso delle singole parole come
opportunità di reciproco supporto e aiuto nella sopravvivenza.
Il corollario dell'organizzazione introduce il concetto di "sistema",
come quell'insieme di costrutti nel quale le incompatibilità e le
inconsistenze sono minimizzate: ogni persona è un'organizzazione, sia
in termini di significato-anticipazioni che di soluzioni-costruzione
che di link, o interconnessioni fra costrutti. I costrutti non si
organizzano solo in base a delle dipendenze reciproche, ma anche per
antinomie, in base al corollario della dicotomia. Come diceva
Eraclito quando parlava di equilibrio armonico di contrasti, anche
per Kelly, "La scelta da parte di una persona di un aspetto determina
sia ciò che deve essere considerato simile sia ciò che deve essere
considerato in contrasto". Ovvero, i significato di un costrutto
viene definito dai suoi opposti e questi non sono solo quelli a tutti
noti (notte-giorno, caldo-freddo…), ma soprattutto quelli particolari
e soggettivi definiti da quadri di significato generati dal modo di
organizzare le proprie esperienze e le anticipazioni.
Un altro corollario importante è quello della scelta che sottolinea
ulteriormente il peso del libero arbitrio della persona. “Una persona
sceglie per sé quell'alternativa in un costrutto dicotomizzato per
mezzo della quale anticipa la maggiore possibilità di elaborazione
del suo sistema". Sceglie, ovvero, l'alternativa che offre il
maggiore potere predittivo. "In altre parole, per mantenere il
proprio mondo prevedibile, una persona struttura la propria identità
come una rete di costrutti nucleari, investiti di significati
personali, che la proteggono da possibili invalidazioni e sceglie di
muoversi nella direzione che sembra condurre verso una maggiore
elaborazione del proprio sistema". Ogni costrutto ha poi un proprio
"campo di pertinenza" e questo è definito e limitato ad una
determinata area di esperienza. Un altro limite del costrutto deriva
dal venire prima o poi sottoposto alla "verifica della vita". Se le
nostre anticipazioni falliscono di fronte all'esperienza ci vediamo
costretti a rivedere il nostro sistema, a "ri-costruirlo". Non solo
la validazione dei costrutti, ma forse ancor più la loro
invalidazione fanno sì che il sistema di costrutti evolva
progressivamente verso la maggiore predittività possibile (in linea
con il falsificazionismo popperiano). Secondo il corollario della
modulazione è la permeabilità di un costrutto a definire quanto esso
potrà "assimilare nuovi elementi all'interno del suo campo di
pertinenza e generare nuove implicazioni”. Questo criterio ci indica
la possibilità che viene offerta dai costrutti più permeabili, ovvero
sia più in grado di assumere esperienze nuove, di comprendere vicende
ed eventi che ci possono apparire di primo acchito incomprensibili,
non sapendo come poterli inquadrare. Kelly afferma poi che “una
persona può impiegare di volta in volta una varietà di sottosistemi
di costruzione che sono deduttivamente incompatibili gli uni con gli
altri”, secondo il corollario della frammentazione che consente di
affermare che una persona può essere un buon padre sia quando è
affettuoso che quando è severo con i propri figli, perché i costrutti
genericamente dicotomici di affettuosità e severità sono di un
livello sotto-ordinato rispetto a quello di "buon padre" che li
comprende e ne integra la dicotomia. I costrutti che usiamo poi ci
rendono più o meno affini fra di noi per il corollario di comunanza
secondo il quale “nella misura in cui una persona impiega una
costruzione dell'esperienza simile a quella impiegata da un'altra, i
suoi processi sono psicologicamente simili a quelli dell'altra
persona”. Questo è un principio di ordine previsionale perché ci
consente ad esempio di asserire che persone simili non solo devono
formulare le stesse previsioni, ma devono anche elaborarle nello
stesso modo. L'ultimo corollario è dedicato alla socialità e descrive
i costrutti come uno strumento , non solo per frazionare la realtà in
fenomenologie individuali, ma anche di condividere l'esperienza e di
comprendere gli altri accogliendoli nei nostri schemi di significato.
“Nella misura in cui una persona costruisce i processi di costruzione
di un'altra, può giocare un ruolo in un processo sociale che
coinvolge un'altra persona”. Possiamo metterci nei panni dell'altro
ragionando con il suo modo di ragionare, guardando con i suoi
occhiali, costruendo il mondo con una logica derivata da delle
previsioni simili. Da queste ultimi punti è evidente, se non fosse
stato abbastanza chiaro finora, che la psicologia dei costrutti
personali è una psicologia fenomenologica.

Al di là di ragione e sentimento
Kelly, segno dei tempi in cui scriveva e dell'impostazione
disciplinare sente il bisogno di dettare regole e poi di
classificare. Così distingue fra differenti classi di costrutti, da
quella basata sulla natura del controllo sugli elementi, a quella in
base al campo di pertinenza dei costrutti, a quella in base al
processo di costruzione.
Ma l'originalità e la fecondità della teoria di Kelly la si riscopre
nel momento in cui viene applicata a categorie problematiche
tradizionali, come quelle che egli definisce "transizioni", ovvero
stati di cambiamento dei costrutti, quelli che con modelli più
recenti si potrebbero definire "catastrofi" strutturali (Thom) della
personalità, che lo psicologo affronta superando la storica antinomia
fra cognizione ed emozione (sulla scorta di quella che di recente è
stata definita come "intelligenza emotiva"). Egli nei individua un
certo numero, ovvero l'ansia, l'ostilità, la colpa, la minaccia, la
paura, l'aggressività, l’amore, i cicli dell’esperienza,
l’impulsività e la creatività. Straordinaria è la descrizione della
prima come "la consapevolezza che gli eventi che ci troviamo di
fronte giacciono per lo più al di fuori del campo di pertinenza del
nostro sistema di costrutti”. Ci mancano le coordinate per spiegarci
gli eventi e per formulare delle anticipazioni efficaci. Sarei
costretto ad operare una ristrutturazione profonda di tipo
copernicano, una di quelle che Kuhn chiamava cambiamenti di paradigma
e questo mina le fondamenta della mia sicurezza. La mia realtà è
insicura, imprevedibile, fuori da ogni controllo e il mio sistema di
significati è sguarnito ad affrontare ciò che mi trovo a vivere.
"Ostilità: è lo sforzo continuo di estorcere prove validazionali a
favore di un tipo di previsione sociale di cui è già stato
riconosciuto il fallimento”. Diventiamo ostili quando vogliamo
preservare intatto il nostro sistema di costrutti poiché non abbiamo
modi alternativi di costruire l'esperienza. Smettiamo di essere
ostili solo quando elaboriamo punti di vista molteplici e alternativi.
“Aggressività: è l'elaborazione attiva del campo percettivo”.
L'aggressività è un modo di prendere gli eventi "di petto", di
passare al vaglio le esperienze, pronti se necessario a modificare le
proprie costruzioni. In questo senso, è il contrario dell'ostilità. È
una continua sperimentazione che può suscitare difesa e irrigidimento
da parte degli altri (perché, a volte, si traduce in irruenza,
arroganza, sicurezza eccessiva), ma è anche sinonimo di flessibilità,
di apertura, di disposizione ad accogliere le costruzioni degli altri
e a mettere in discussione le proprie.
La colpa "è la consapevolezza della rimozione del Sé dalla struttura
nucleare del ruolo”, rappresenta la dissonanza profonda tra la nostra
immagine privata e l'immagine riflessa nel nostro agire, pensare,
vivere. Abbiamo tradito l'organizzazione dei valori e così un atto
violento, agito da una persona mite, può causare una sofferenza per
il mancato rispetto di un principio di fondamentale importanza unito
alla consapevolezza di non essere perfettamente padrone del proprio
agire.
“Minaccia: è la consapevolezza di un imminente e ampio cambiamento
nelle strutture nucleari". Anche la malattia grave rappresenta per
tutti una minaccia: esprime tutta la portata di un cambiamento di
fronte al quale ci sentiamo impotenti.
La paura invece "è la consapevolezza di un imminente e circoscritto
cambiamento nelle strutture nucleari”. A differenza della minaccia
non ci sentiamo sopraffatti, sperimentiamo solo la tensione di un
cambiamento imminente e quindi di qualcosa di sconosciuto che si
affaccia al nostro orizzonte.
Il ciclo "circospezione - prelazione - controllo" conduce ad una
scelta che fa precipitare la persona dentro una situazione" in cui la
vita si presenta come una scelta tra i poli di un costrutto.
L'Impulsività caratterizza "il periodo di circospezione che
normalmente precede le decisioni" quando questo "viene indebitamente
abbreviato” e la persona tenta all’improvviso di trovare una
soluzione ad un problema, con la possibilità che questa provi ansia,
colpa oppure che si senta minacciata.
“Il ciclo della creatività è un ciclo che parte da una costruzione
allentata e termina con una costruzione ristretta e valicata”.
Questo processo consiste in un allentamento ed in un restringimento
che fa emergere nuovi significati.
Dalla psicologia dei costrutti personali è nata dal counseling e ad
esso ritorna, come pure genera uno stile psicoterapeutico che mira ad
aiutare la persona ad affrontare i problemi della vita quotidiana
dopo una attenta valutazione della realtà che il cliente percepisce e
costruisce in modo da offrirgli la possibilità di elaborare nuovi
costrutti.