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giovedì, novembre 21, 2013

la bugia nell sua funzione.

Dimmi a chi menti e ti dirò chi sei

Raccontare bugie è un’arte, si dice. Ma è anche un gesto che rivela molto di te e della tua personalità. Ecco come interpretare le tue frottole più frequenti di Barbara Gabbrielli con la consulenza di Francesco Aquilar, psicoterapeuta cognitivista; Consuelo Casula, psicoterapeuta esperta in Pnl; Marco Chisotti, psicoterapeuta relazionale sistemico. “I bambini buoni non dicono le bugie”. Impari subito, fin da piccola, che raccontare frottole è divertente, ma sbagliato. Mentire, infatti, significa non dire la verità, ingannare. Talvolta a fin di bene, più spesso per proteggerti da ciò che non desideri o che ti spaventa. Ma questa è una visione un po’ limitata della questione. In realtà, il senso della bugia ha a che fare con la tua identità e con i suoi costanti cambiamenti. Tra qualche settimana arriverà in Italia un saggio dell’inglese Ian Leslie, pubblicato da Bollati Boringhieri, che s’intitola “Bugiardi nati” sostiene che mentire è fondamentale per determinare ciò che sei. Anche tra gli psicologi italiani c’è chi la pensa così: la frottola è uno strumento per svelare quello che non sei, ma che vorresti essere. Ed è anche un modo per tenere segreti stati d’animo e desideri che non sei pronta a condividere con gli altri. La bugia, dunque, è assolta. Il problema, semmai, è riuscire a fermarti in tempo, prima che diventi ingestibile e rovini le tue relazioni. A chi menti più frequentemente? Riflettici, scoprirai qualcosa in più su di te.

Ai genitori

Abbellire la realtà con qualche balla è una tappa normale della crescita, ma se menti ai tuoi genitori anche da adulta forse ti senti oppressa dal rapporto che hai con loro. Probabilmente, da ragazza, hai vissuto la menzogna come l’unica via di fuga da una famiglia possessiva che si opponeva al tuo desiderio di emancipazione. Raccontare che andavi a dormire dall’amica mentre passavi la notte dal fidanzato ti ha aiutata a fare le tue esperienze. Ma se da adulta ancora non ti senti libera nelle tue azioni, forse non hai fatto pace con il passato e dovresti rivedere il rapporto con i tuoi genitori.

Al partner

È nella coppia che si registra il maggior numero di “sfumature” di bugie. Si va dal semplice tenersi sul vago (gli racconti che sei uscita con le amiche, evitando di dire esattamente con chi), alle omissioni finalizzate a evitare sicure discussioni (hai rivisto il tuo ex, che ormai è un amico, ma non lo dici a lui perché sai che ne è ancora geloso), fino ad arrivare all’inganno (il più classico: hai un amante). Forse il tuo compagno vuole controllarti e tu senti il bisogno di ricavarti piccoli spazi di libertà. O, magari, hai paura di non essere amata abbastanza o di essere abbandonata, non riesci a fidarti completamente del tuo compagno e ti “proteggi” con le bugie. Devi interrogarti su quale vantaggio vuoi ottenere con le menzogne. Fai questo esercizio: confessa al tuo compagno una piccola bugia per vedere che cosa accade.

Ai colleghi

Sul lavoro, la nostra identità reale si scontra con quella immaginaria. Ci sono i casi estremi di chi si spaccia per medico senza essersi mai laureato. Più in generale, è facile cadere nella tentazione di “vendersi” per quelle che non si è: più brave, più preparate, più esperte. Il rischio in questi casi è di essere scoperte e, di conseguenza, rimanere isolate, prive di rapporti interpersonali che potrebbero invece aiutarci professionalmente.

Alla suocera

Consideri la mamma di tuo marito una rompiscatole. E chissà quanta volte, per non vederla, le hai raccontato che avevi un impegno inderogabile o una commissione urgente. Dietro le bugie che dici alla suocera, di solito ci sono piccoli e granili rancori e sicuramente molta competizione. Prova a sostituire la balla con la negoziazione per ottenere quello che vuoi, concedile in cambio qualcosa a cui sai che tiene moltissimo.

giovedì, novembre 07, 2013

L'identità un fatto di coerenza interna

L’identità un fatto di coerenza interna!

Marco Chisotti.

Parlare, pensare, agire, “essere o non essere” ecco il problema, se è meglio patire, fuggire o affrontare il nostro bisogno di essere, parlando, agendo, pensando, questo è il dilemma. La nostra identitá è un problema di coerenza, di logica coerente, non esistiamo se non ci manteniamo nell’idea di noi stessi, ma per poterci affermare ci dobbiamo confrontare, con noi stessi, attraverso il dialogo interno, o con gli altri attraverso la comparazione, attraverso uguaglianze e differenze. Quando sono, quando esisto, non posso avere continuativamente consapevolezza di me stesso, sono me stesso nelle azioni, nelle parole, nei pensieri, la percezione e la coscienza di noi stessi è un esperienza complessa che va esaminata con cura. È abbastanza facile considerare quanto l’identità delle persone dipenda dalla cultura in cui si è cresciuti ed in cui si è vissuti, è facile comprendere quanto differenti culture abbiano differenti identitá di riferimento. Quindi l’identità per cui nasciamo, cresciamo, viviamo e moriamo è un esperienza di idee, pensieri, condivisioni, appartenenze, convinzioni, valori, bisogni, desideri, volontà, ma non è meno neppure di intuizioni, combinazioni, casualità, un mix di caso e necessità. La complessità in cui ci troviamo a vivere condiziona fortemente il nostro mondo interno, si impara a vivere ma l’apprendimento avviene in un mondo di idee e pensieri che ci portano a vivere ed a morire per un ideale, non essendoci la realtà ma tante possibili realtà quante sono le intenzioni, allora il mondo reale si plasma attraverso le idee di molti, prigionieri della loro identità, della loro coerenza interna, che assieme si trovano a mediare e negoziare una comune e condivisa sopravvivenza. È straordinario quanto siamo necessitati di essere, quanto siamo gratificati di essere in un certo modo, appagati continuamente nella nostra coerenza, dall’idea della nostra identità. Allo stesso modo son divertito dalle descrizioni che diamo delle persone, egoista, generoso, altruista, razionale, emotivo, simpatico, antipatico, un mondo di impressioni che partono da presupposti spesso impliciti, della nostra coerenza interna, quello che crediamo, pensiamo, quello di cui siamo convinti. Noi siamo i nostri presupposti, ci nutriamo di verità perchè senza di quella perdiamo i nostri presupposti, qualcosa che deve esser vero per quel che viviamo abbia un senso ed un fine, e senza un senso e senza un fine la vita stessa non esiste. Siamo necessitati ad esistere perché esistiamo nel senso che creiamo attorno a noi, dentro di noi, siamo necessitati a gioire, patire, godere, temere, siamo immersi in un mondo di emozioni, solo nella nostra identità possiamo esistere, e solo in un sistema coerente possiamo misurare le nostre emozioni. Mi sto accorgendo che giro intorno al problema, infatti il problema non è “essere o non essere”, dal momento che non si può non essere, non esistere, si esiste sempre, quello che rimane è come esistere, alla fine siamo un sistema coerente e complesso, un sistema che fa riferimento semplicemente a se stesso, ma per farlo usa una metafora, il mondo esterno, col quale giustificare e comprendere il mondo interno, quel mondo che chiamiamo inconscio. Amiamo il mondo per quanto lo contempliamo dentro di noi, amiamo e viviamo il mondo attraverso la nostra identità, attraverso un mondo coerente di riferimento. Ma attraverso l’identità il nostro inconscio acquisisce “civiltà”, si accorda con le altre identità sottese ad altri mondi inconsci, dall’esterno noi osserviamo un mondo coerente, sotto le spoglie dell’identità esiste un mondo complesso, che definiamo inconscio, e che racchiude il mondo possibile nel quale ci troviamo a vivere. Ogni tanto penso che abbiamo tutti bisogno di tornare nel porto la sera o quando il tempo peggiora, la nostra identità è un luogo protetto in cui rifugiarci e ritrovarci. Senza un identità non siamo, nella semplicità di un nome e di un idea di persona noi abbiamo un punto di riferimento attorno al quale tutte le nostre percezioni si vanno ad affermare, e attraverso un sistema di coerenze noi valutiamo, elaboriamo, decidiamo della nostra vita. Il mare della vita è vasto ed insidioso, sicuramente complesso, la nostra intelligenza intuitiva gestisce e coordina la complessità nell’ambito del possibile, mentre la nostra intelligenza cognitiva medita e gestisce la nostra identità, il nostro porto dove ritrovarci e rifugiarsi. Alla fine noi abbiamo una idea di noi stessi, nella quale ci identifichiamo, ed abbiamo un idea del mondo col quale dobbiamo confrontarci e misurarci, trovando una strada viabile. Per concludere vorrei semplicemente dire che il vivere è un atto di coscienza, e consapevolezza, che avviene attraverso un esperienza di coerenza interiore, che noi percepiamo come un atto di volontà, di conoscenza, guidiamo la nostra vita mantenendo una coerenza con l’idea di noi stessi e con la realtà in cui ci orientiamo, i nostri sensi però si modificano rispetto all’esperienza di identità in cui ci troviamo e che descriviamo, noi cambiamo nelle esperienze in cui ci identifichiamo e cambiando cambia il modo con cui ci percepiamo, cambiano i nostri sensi. Dove possiamo ritrovare un senso, un fine, dove possiamo soddisfare il nostro bisogno di perchè, solo appoggiandoci ad un’identità, se sono, esisto allora intorno a me me esiste l’altro, esiste un mondo in cui trovarci e ritrovarci. Oltre ad un senso di realtá esiste anche un tempo che ci aiuta a comprendere il cambiamento durante tutto il corso del nostro vivere, siamo ora e cambiando nel tempo ci percepiamo e manteniamo memoria di noi è dell’esperienza della vita. Alla fine siamo una storia perché ci entriamo da protagonisti, e dopo la seguiamo come riferimento, ma siamo anche obbligati dalla storia che ci raccontiamo, la conoscenza obbliga e la nostra coerenza ci obbliga ad essere, a vivere la nostra identità, l’identità è un fatto di coerenze.