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giovedì, agosto 31, 2017

L'algoritmo della coscienza come processo autoreferenziale ed autobiografico. Marco Chisotti.


Avendo introdotto il concetto di algoritmo vorrei che si considerasse nella sua completezza, in modo semplice, come una ricetta, in ogni ricetta c'è una lista di comandi da eseguire, eseguita la quale otteniamo il risultato atteso. Così l'algoritmo della nostra coscienza è probabilmente un complesso listato di comandi eseguito dalla nostra Mente Psicobioemotiva che ci fa esistere dandoci consapevolezze differenti.

Se esiste un algoritmo della coscienza è talmente complesso che non ci è dato computarlo al momento, possiamo solo supporlo, come tale è dunque più un atto di fede.

La coscienza è un grandioso brano sinfonico ci ricorda Antonio Damasio. Possiamo dire che è l'ingrediente principale della mente, che altrimenti sarebbe soltanto cervello, capace di poche operazioni di base. La mente cosciente invece ha differenti livelli di "sé": il sé primordiale, il sé nucleare, il sé autobiografico. Noi condividiamo con diversi animali un tipo di coscienza molto semplice, che si può distinguere con il termine sentience. In inglese equivale a coscienza, ma per esser più precisi è la condizione dell'essere senziente. E infatti è un termine più antico di coscienza, deriva dal latino sentire. Questo è sostanzialmente un "sé primordiale" che permette di avere sensazioni, come provare dolore e piacere. Ma non di riflettere su queste sensazioni. Grazie ad altri livelli come il sé nucleare e il sé autobiografico. Così siamo in grado non solo di essere senzienti, ma anche "riflettenti". Ovvero abbiamo la capacità di speculare su noi stessi e su quello che ci succede. Anche nella prospettiva della storia e la memoria: ogni cosa che ci accade è un'eco di quello che abbiamo passato e assume senso in ciò che succederà poi.

Possiamo dire che la coscienza è una sorta di sceneggiatura della nostra vita, come esseri viventi abbiamo alla base una sinfonia e poi, quando raggiungiamo il livello del linguaggio, abbiamo una sceneggiatura. E questo è quello che facciamo: scriviamo le cose, tutte le volte.

Ci raccontiamo la vita che andiamo a riconoscere e vivere.

Siamo noi che "scriviamo" in parte la nostra coscienza creando algoritmi operativi:

«Ne siamo gli autori in larghissima parte, ma non del tut­to. In passato la natura ha scrit­to per noi. Perciò non siamo completamente padroni del nostro destino: spesso ci trovia­mo a far fronte a cose che non volevamo ma semplicemente sono successe … La nostra condizione di vi­venti è una lotta contro la ma­lattia e la morte. È una battaglia costante, dobbiamo sempre lottare per mantenere una "condizione omeostatica". Antonio Damasio. Questa condizione oscilla fra il buon funzionamento e il cattivo funzionamento. Sin dall'inizio biologico ed evolutivo, storica­mente, appaiono questi yin e yang, uno nella forma del piace­re e l'altro nella forma del dolo­re. E vivere è stare nel mezzo. Dobbiamo navigare fra il trop­po dolore che ti uccide e la trop­pa felicità, che ti uccide lo stes­so».

Nessuno può. prescindere dalla sua intelligenza… secondo principio della cibernetica ….

La seconda Cibernetica ha seguito all'algoritmo operativo anello TOTE Test Operate Test Exit, la concettualizzazione della prima cibernetica, che ha dato origine, come applicazione concreta, ai computer.

Nell'applicazione dell'approccio cibernetico alla biologia e alla sociologia ci si rese presto conto che il solo, feedback negativo o di controllo, non era sufficiente; i sistemi osservati possono essere in equilibrio, e tendere all'omeostasi, ma spesso presentano comportamenti dinamici o evolutivi; lo stesso sistema cognitivo umano non è una struttura statica ma in continua formazione.

Il feedback positivo, che rafforza la deviazione, anziché ridurla, rispetto a certi parametri interni, dev'essere considerato al pari di quello negativo.

Nel campo della biologia, i cileni Varela. e Maturana radicalizzano l'autoreferenzialità nella direzione dell'auto-poiesis, cioè auto-produzione dei sistemi viventi in quanto sistemi autonomi.

Le loro teorie sono alla base delle 'scienze cognitive'; sono state inoltre introdotte in sociologia da N.Luhmann per spiegare l'autonomia dei sistemi sociali e la complessità della società post-moderna.

Le limitazioni dell'observer dependentness in logica ed in fisica, insieme all'enfasi sugli stessi processi cognitivi della IA, hanno condotto la cibernetica a riconsiderare, non solo la 'natura' dell'oggetto di studio, ma anche del soggetto e delle modalità di osservazione, quindi il rapporto soggetto/oggetto . Il soggetto conoscente diviene oggetto di osservazione. E' il passaggio ad una cibernetica di secondo ordine : una cibernetica della cibernetica.

H.von Foerster. postula la necessità di considerare i sistemi osservanti , oltre a quelli osservati. L'autoreferenzialità dei sistemi viventi osservati è propria anche del sistema vivente osservante. Che si tratti di astronomia o di fisica, l'osservatore fa parte dell'universo studiato; in biologia o in psicologia, l'osservazione ritorna sull'osservatore, in quanto essere biologico e psicologico; in sociologia, l'osservatore fa parte del sistema studiato, in quanto essere sociale.

L'includere l'osservatore nell'osservazione porta a considerarne il processo di costruzione dell'oggetto e la scelta del punto di vista del soggetto: è l'osservatore che decide in cosa consiste il sistema osservato, che traccia il confine tra sistema e ambiente . Come in logica non si può mantenere una rigida separazione di livelli, poiché una classe può sempre essere membro di una classe più ampia, ed un suo membro può costituire, a sua volta una classe; nella teoria dei sistemi dobbiamo considerare un sistema come possibile parte di un sistema più ampio, e le sue parti possono essere, a loro volta, sistemi; dunque un sistema è contemporaneamente un sottosistema ed un sovrasistema, cioè un plurisistema (Ceruti).

E' però l'osservatore che stabilisce i confini e la gerarchia, e sceglie quale livello studiare, adottando un particolare punto di vista; modificando tale punto di vista, egli ristruttura i confini e i rapporti inter e intra sistemici.

La considerazione, da parte dell'osservatore, della propria osservazione, gli mostra la relatività del proprio punto di vista rispetto a tutti quelli possibili; ma gli mostra anche l'ineludibilità dei vincoli che l'essere un sistema biologico, psicologico e sociale pongono alla possibilità e capacità di osservazione.

Beato chi per curiosità interesse bisogno desiderio guarda alla vita qualunque e comunque come un ricerca … ha compreso lo scopo del suo cervello e dell'intelligenza che sprigiona … raggiungere se stessa …

Raggiungere l'infinito complessità che costituisce cervello ed intelligenza attraverso la coscienza …

La coscienza è la più grande magia che conosciamo è in cui siamo immersi costantemente, la coscienza cerca il motivo della sua esistenza nella complessità di un cervello infinito nelle sue connessioni e se anche non lo troverà mai sarà soddisfatta di questa ricerca continua. Chi non è curioso e gioiosa di questa vita subisce la coscienza e sta male!

Noi esseri viventi, chi più chi meno, siamo dei grandi ricercatori e per questo sfidiamo le aspettative sognando e pensando …

Con l'ipnosi, lavoro con gli stati mentali per la precisione, il tuo cervello continua a lavorare, mappare, creare algoritmi, minime operazioni, programmi per ottenere attenzione, selezione, decisione, ulteriore contemplazione ….

Durante questa attività si attivano tutti e tre i livelli di coscienza, cognitivo, fisico ed emotivo.

I livelli di coscienza posson esser minimi o massimi in un percorso verticale (ipnosi verticale) dalla veglia al sonno …

Me se si vivono dei Sè differenti ci si. sposta in modo orizzontale nel tempo e nello spazio sognando e pensando mondi differenti. … lo stato di coscienza o stato mentale fluttua come su un piano cartesiano in modo verticale ed orizzontale fino a generare una spirale che è l'operazione autobiografica dov'è ti racconti la storia in cui ti trovi ad operare, a vivere … un algoritmo molto complesso che processa la sua stessa esistenza … algoritmo autopoietico…

L'autobiografia che usa linguaggio e memoria è la terza componente dello spazio mentale … la tridimensione orizzontale verticale e «astrale» profondità ….

Noi viviamo nella nostra storia, una storia che abbiamo creato sommando tanti algoritmi, minime procedure operative, con i quali affrontiamo quotidianamente la nostra esperienza di vita, ogni algoritmo ci permette di superare un problema, analizzare una situazione, fare delle considerazioni, pensare, decidere, risolvere, rimandare, affrontare…

L'algoritmo ha a che fare con il metodo, è il modo con cui costruiamo una via, un cammino, quando ti poni una domanda hai creato un algoritmo che cerca di completarsi attraverso altri algoritmi, la consapevolezza la ottieni attraverso le tre coscienze, base, relazionale ed autobiografica, solo le tre coscienza insieme ti permettono di completare la tua coscienza nell'insieme.

In un'intervista a «Le Monde» del 18 febbraio 1999, Varela dichiara:

«dall'età di 9 o 10 anni, una sola domanda mi tormentava: come comprendere il rapporto fra il corpo, così «fisico», così pesante e il mentale, vissuto come effimero quasi «atmosferico»»

Il dualismo fra mente e corpo è superato da un'ottica che considera le relazioni, come si legge in un'altra intervista per l'Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche del 7 gennaio 2001 sempre Francesco Varela dice:

«La nostra identità in quanto individui è di una natura del tutto peculiare. Da un lato si può dire che esiste. Mi dicono: Buongiorno, Francesco, ed io sono capace di rispondere, di avere delle relazioni con gli altri. Dunque c'è una specie di interfaccia, di collegamento [couplage] col mondo, che dà l'impressione di un certo livello di identità e di esistenza. Ma al tempo stesso questo processo è di natura tale che appunto, come in tutti i processi emergenti, io non posso localizzare questa identità, non posso dire che si trovi qui piuttosto che là, la sua esistenza non ha un locus, non ha una collocazione spazio-temporale. È difficile capire che si tratta di una identità puramente relazionale e così nasce la tendenza a cercare i correlati neuronali della coscienza, per trovarli nel neurone 25 o nel circuito 27. Ma non è possibile, perché si tratta di una identità relazionale, che esiste solo come pattern relazionale, ma è priva di esistenza sostanziale e materiale. Il pensiero che tutto quello che esiste deve avere esistenza sostanziale e materiale è il modo di pensare più antico della tradizione occidentale ed è molto difficile cambiarlo.»

Nella stessa intervista Varela affronta anche il tema della coscienza:

«Non posso separare la vita mentale, la vita della coscienza, la vita del linguaggio o la vita mediata dal linguaggio, l'intero ciclo dell'interazione empatica socialmente mediato, da ciò che chiamo coscienza. Dunque ancora una volta tutto questo si svolge non all'interno della mia testa, ma in modo decentrato, nel ciclo. Il problema del Neuronal Correlate of Consciousness è mal posto perché la coscienza non è nella testa. Insomma, la coscienza è un'emergenza che richiede l'esistenza di questi tre fenomeni o cicli: con il corpo, con il mondo e con gli altri. Naturalmente il cervello mantiene un ruolo centrale, poiché costituisce la condizione di possibilità di tutto il resto, il che però non toglie che, così come era impossibile parlare di una relazione materiale in senso proprio a proposito della rete immunitaria, allo stesso modo è impossibile credere che in questo o in quel circuito cerebrale risieda la coscienza.»

Per me semplicemente la coscienza è tutto quello che percepisco, sento è penso di vivere, è un'esperienza relazionale tra Sé differenti il cui risultato è ciò che vivo. Dunque lavorare con questi stati mentali, questi Sé differenti è fondamentale, i Sé devono essere coordinati tra loro, devono incontrarsi non scontrarsi, in modo da sviluppare un identità protagonista, nel concetto liberale autentica, che paga il prezzo della responsabilità a favore della piena ed autentica soggettività, porto il peso del mio Io ma ne godo i meriti, ed io credo che il dialogo interiore Pscobioemotivo permetta di ottenere questo incontro.

domenica, agosto 27, 2017

Intelligenza e coscienza: divorzio o rappacificazione? Marco Chisotti.

Intelligenza e coscienza: divorzio o rappacificazione? 
Marco Chisotti.

«Chi pensa sia necessario filosofare deve filosofare e chi pensa non si debba filosofare deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l'addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui.» Aristotele.
Intelligenza e coscienza sono due temi che continuano a girarmi in testa, ora mi sembra di intuire che c'è una ragione per cui si sono intasati nel mio pensare. Il mix che nasce da queste due esperienze è la vita! La vita umana intendo, perché di intelligenze e consapevolezze se ne possono avere di vari tipi, i computer, quelli sofisticati che oggi sempre più risolvono i nostri problemi con un semplice algoritmo, possiedono coscienza ed intelligenza, sicuramente l'intelligenza di un computer è più facile da comprendere, è la parte più espressiva del suo funzionamento, o computer è molto intelligente, intendendo per intelligenza quella capacità pratica di risolvere problemi, e quindi adattarsi meglio alla vita. Oggi un computer possiede una sua coscienza dal momento che è in grado di auto riferirsi, apprendere dalle proprie esperienze, e, infondo, raccontarsi una sua storia delle esperienze vissute.
In noi umani convivono diverse intelligenze e coscienze, c'è un Sé cosciente alla base della nostra esperienza fisica, che agisce in modo intelligente con tutta la sua potenzialità ed esperienza, il nostro cervelletto ne è un esempio, è una delle parti del nostro cervello più fitta di connessioni nervose. Ma in noi esiste anche un Sé cosciente che ci lega alle persone ed alle cose in modo affettivo ed emotivo, che sfrutta l'intelligenza relazionale e sociale, le nostre abilità ad auto soddisfarci nella relazione con gli altri. Ma l'essere umano è molto più complesso possiede un Sé autobiografico che sfrutta le nostre qualità linguistiche e mnemoniche, introducendoci nella storia, nella narrazione a cui apparteniamo e che ci appartiene.
Mi rendo conto facilmente della grande complessità a cui attingiamo quotidianamente, ma noi non abbiamo necessità di questa coscienza complessa ed a tutte le sue conseguenze, può bastarci pensare a quanto l'esperienza intelligente possa primeggiare sulle nostra coscienza.
Considerando l'intelligenza e coscienza possiamo semplicemente pensare il corrispettivo tra funzione e scopo, andiamo ad esempio ad analizzare il processo che sta alla base delle nostre decisioni, prendendo in considerazione il pensiero di Aristotele, lui parla di coscienza introducendo il concetto di causa, esistono due cause fondamentali nelle nostre decisioni, la causa efficiente e la causa finale, il fine, lo scopo devono guidare le nostre decisioni e le nostre scelte, l'efficienza segue, se considero quale mezzo sia migliore per raggiungere Roma, posso fare molte scelte in merito, l'auto, l'aereo, in treno, nessuna di queste scelte risulta però vincente, funzionale, se non ho deciso prima di voler andare a Roma, la causa finale deve sempre anticipare le cause efficienti, coscienza ed intelligenza cominciano ad incrociare un potenziale differente tra loro, una danza di funzionalità e scopo.
La coscienza è la prima esperienza fondamentale a cui far seguire gli atti intelligenti, solo che la coscienza stessa è una forma di intelligenza e dunque non potendo prescindere dai mezzi con cui io analizzo me stesso, la mia intelligenza, per dire ciò di cui ho bisogno, desidero o ho necessità, sono costantemente processo intelligente anche quando analizzo la coscienza di me stesso.
Credo che si possa alleggerire la cosa con un altro esempio, il voler raggiungere la luna da parte dell'umanità negli anni 60 ha spinto i migliori scienziati a studiare un modo per arrivarci, partendo dal metodo copernicano, la Terra gira intorno al Sole, nel fare i calcoli balistici per raggiungere il nostro satellite, i calcoli erano troppo complessi, dal momento che la terra continua a muoversi. Solo prendendo in considerazione il vecchio metodo tolemaico si è potuto ovviare al problema della complessità, facendo finta che la terra fosse ferma i calcoli, a quel punto, sono risultati funzionali, e, sebbene molti possono ancora dubitare che l'uomo sia veramente stato sulla luna, io sono convinto che i nostri piedi umani siano stati sulla luna, grazie a questa operazione di semplificazione, e banalizzazione dei calcoli si è potuto raggiungere la luna.
Credo che il dilemma intelligenza o coscienza si può risolvere semplificando questa complessità con un dialogo semplice e funzionale rivolto al proprio mondo interiore, il dialogo con l'inconscio, si può avviare al problema se andare nella direzione dell'intelligenza, o se puntare nella direzione della cosciente, credo che risultato migliore sia negoziare con quel Sé interiore che definiamo inconscio.
È la storia che ci raccontiamo che deve anticiparci il desiderio di continuare essere protagonisti della nostra vita, una vita a nostra misura, lo sviluppo tecnologico deve seguire le nostre intenzioni, le nostre volontà, e non andare verso l'efficienza, perdendosi la propria coscienza.
Credo che si debba imparare a pensare, come si impara a leggere, scrivere, fare i conti, pensare non è semplice, il pensiero è pieno di trappole, l'ipnosi lo mette in luce sistematicamente, pensare è un'arte che va coltivata, abbiamo la capacità innata di imparare il linguaggio che usiamo, abbiamo un'innata capacità di memorizzare le esperienze, siamo portati al Sé autobiografico, A raccontarci la storia in cui ci troviamo a vivere, ma siamo all'inizio di questa complessa esperienza di vita. Le storie non sono mai banali, sono la conoscenza che ci obbliga, sono le aspettative che si auto avverano del nostro vivere, del nostro impegno, del desiderio, della volontà, queste storie sono la nostra vita e non possiamo lasciare che queste storie raccontino la vita di qualcun altro, devono raccontare la vita che noi vogliamo.
Se non ci impegniamo a considerare il fatto che coscienza e intelligenza vadano coltivate in un preciso equilibrio, in cui desideriamo vivere, la tecnologia impugnerà per noi la decisione, infondo lo sta già facendo, gli algoritmi vincono su di noi con una forma intelligente molto efficace, ed efficiente, noi dobbiamo tenere in chiaro il perché vivere e mettere subito di seguito il come vivere.
Detto così sembra poi semplice, ma la complessità che dobbiamo affrontare sta proprio nel nostro mondo interno, queste cose che riguardano intelligenza e coscienza sono fenomeni descrittivi, di tipo cognitivo, danno forma alle cose, la vita è altro ancora, noi viviamo in un processo, é il processo che segna la nostra vita, il processo attinge dalle esperienze fisiche, dalle esperienze cognitive, dalle esperienze emotive.
Ora il nostro corpo fisico ha una sua dimensione biologica, capirne il miglior funzionamento è relativamente semplice, basta avere dei modelli funzionali di confronto per stabilire se sta bene o se non sta bene. La nostra intelligenza cognitiva è complessa, ma comunque ha dei limiti di funzionalità nella logica, e fino a che rimane nella logica e prevedibile, per certi versi si mantiene funzionale. Sono le nostre emozioni le più difficili da essere inquadrate, hanno la meglio sul nostro fisico, e sulla nostra intelligenza logica me, in fondo hanno il compito di essere la nostra vita.
Quando vogliamo aiutare qualcuno non possiamo dimenticarci che le persone possiedono un'intelligenza ed una coscienza, l'intelligenza parte dal corpo e si sviluppa con la cognizione, il bambino attraverso la sua esperienza corporea costruisce la realtà, poi, in un secondo tempo, astrae la sua esperienza raccontandosi le storie, la coscienza parte dalla consapevolezza delle esperienze fisiche, le percezioni, e condendole di memoria e linguaggio ci porta alle emozioni.
Beh sono convinto che sia meglio una rappacificazione tra coscienza ed intelligenza, ma solo attraverso una storia a lieto fine questo è possibile, il lieto fine è saper mettere in luce qual è l'obiettivo che si desidera raggiungere, e non star dietro all'efficienza di un mezzo, trovare il fine della vita sta nell'arte del pensare, arricchirsi di una conoscenza antica, come la filosofia, ed introdurla in una scienza moderna, la cibernetica, fino a trovare un giusto mix che ci avvicina e ci fa sentire uniti verso lo scopo del vivere comune.
«Il bello e il brutto, il letterale e il metaforico, il sano e il folle, il comico e il serio… perfino l'amore e l'odio, sono tutti temi che oggi la scienza evita. Ma tra pochi anni, quando la spaccatura fra i problemi della mente e i problemi della natura cesserà di essere un fattore determinante di ciò su cui è impossibile riflettere, essi diventeranno accessibili al pensiero formale.» Gregory Bateson

giovedì, agosto 24, 2017

Desiderio libero arbitrio e la favola dell'uomo moderno. Marco Chisotti.

Desiderio libero arbitrio e la favola dell'uomo moderno. Marco Chisotti.

Chi conosce la musica può vedere dietro a questi grafici una sonata per flauto dolce molto semplice utile per imparare ad usare lo strumento, o una la canzone dei Beatles … lascia che sia. Quando siamo nati non ci hanno dato uno spartito da seguire, nessuno ricorda uno spartito preciso come questo, ma senza rendercene conto, ed io sostengo tuttora senza rendercene conto, sappiamo cosa dobbiamo fare, non sempre è vero, ma qualcosa facciamo sempre, e sappiamo anche quando «Let it be!». Io mi sono accorto, per esempio, di saper scrivere meglio se detto le mie parole al computer, questo non fa di me uno scrittore, mantiene in me l'animo dell'oratore, considero questo uno escamotage della mia intelligenza, ogni tanto ci litico con il mio iPad, scrive cose diverse da quelle che gli detto, ma è poco tempo che ha sviluppato questa grande competenza, pochi anni da che comprende ciò che gli dico e lo riporta per scritto, molte volte interpreta al posto mio e rileggendo considero migliore la sua interpretazione a quello che stavo dicendo e lascio la sua. Simpatico questo mio incrocio uomo macchina non trovate? Presto sarà una cosa normale dettare ciò che vogliamo scrivere, ne sono convinto come è stato normale passare dalla macchina da scrivere al computer, il computer a memoria di quello che scrivi la macchina da scrivere no, entrambi usano il linguaggio dei caratteri come interfaccia, ma solo il computer ricorda. Avendo molti problemi legati alla memoria ho avuto molti problemi a considerarmi uno studioso, mia idea di studioso non reggeva, dimenticavo con troppa facilità quello che stavo facendo, c'erano sempre cose più interessanti da fare che studiare alla vecchia maniera, ci ho messo molto tempo a capire che studiare era allenarsi allo studio, rimanere per un tempo sufficiente perché potessero avvenire delle cose pur ripetendo sempre le stesse. Oggi studio volentieri con la convinzione di capire come sono fatto, e come sono fatte le persone che stanno attorno a me, non so se questa è la storia che mi racconto, ma sicuramente questo è ciò che sto facendo.
Sinceramente a questo punto la mia testa avrebbe già preso una strada differente ma cerco di rimanere su un tema alla volta per rendere esportabile il mio pensiero. Combatto continuamente con domande a trabocchetto nelle quali, non trovando risposte, naufrago, c'è chi va in barca vela per avere per avere le stesse sensazioni, diciamo che a me costa molto meno farmi domande che andare a solcare i mari. È quanto meno divertente seguire la mia organizzazione mentale, non sempre posso parlare di organizzazione, sarebbe meglio parlare di esperienza mentale, come dice la conoscenza, almeno quella epistemologica, lo studio della conoscenza per l'esattezza, per conoscere ci vogliono due coscienze una che fa le cose, l'altra che dice come aver fatto quelle cose. Esistono almeno due sé, Uno che vive le esperienze, il sé esperienziale, che non ha memoria, ma registra la differenza tra i vari picchi di esperienza, ed Uno che vive la storia, possiede molta memoria che lega continuamente alla storia che racconta, alle volte è Uno a scegliere alle volte è l'altro Uno, come diceva mia figlia quando ha imparato a comunicare, Uno e l'altro Uno al posto del secondo, non ce n'è uno più importante dell'altro anche se, tendenzialmente, il sé narrativo vince, dal momento che é in grado di giustificarsi agli occhi degli altri ed a se stesso.
A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi cosa c'entra il desiderio ed il libero arbitrio? Io credo che noi non possediamo libero arbitrio dal momento che il libero arbitrio deve essere assoggettato a un unico sé per essere tale. Non ho mai visto due liberi arbitri dare la sensazione di guidare una persona, a questo punto per me subentra il desiderio come forma massima di aspirazione, decisione, volontà, mi rifaccio al concetto di desiderio di Lacan, il desiderio come massima aspirazione alla propria vocazione interiore. Tutti quanti possediamo più di un sé, il concetto di individualità non regge più, per vivere però abbiamo bisogno di riferirci a un unico «esserci» su questa terra, almeno uno alla volta, in effetti siamo liberi di cambiare, ma nel tempo, dandoci il tempo di giustificare il nostro cambiamento, non solo agli altri, ma sopratutto a noi stessi. Il cambiamento credo che sia semplicemente cambiare il proprio sé dominante, quello che per certi versi suggella il nostro io, l'idea di noi stessi, la nostra guida momentanea.
Sento che sta subentrando il mio sé narrativo ed il mio bisogno di dare un senso compiuto alla mia storia. Si può vivere tranquillamente con il proprio sé esperienziale, ma se si introduce l'idea della crescita personale allora è inevitabile entrare nel sé autobiografico. Siamo dunque il frutto della nostra storia? Non la storia con la logica e la cronologia, ma la storia di quello che crediamo di aver vissuto, la storia che ci raccontiamo, la storia che ascoltiamo ogni volta che scegliamo, decidiamo, la domanda era retorica la risposta è qui, quando parliamo di noi stessi parliamo attraverso la nostra storia, la nostra forma definibile solo attraverso memoria e linguaggio, quando viviamo siamo nel processo, il nostro vivere esperienziale, dove si perde la cognizione del tempo perché il tempo dimora nella nostra storia cronologica.
Il linguaggio non è semplicemente denotativo, è costruttivo, costruisce la realtà che viviamo, ma non si ferma ad essere semplicemente una costruzione, la storia che, attraverso linguaggio, costruisce la realtà che descriviamo è evocativa, evocare vuol dire letteralmente chiamare fuori, come elevare qualcosa su tutto il resto, il nostro sé evocativo è qualcosa che noi rileviamo come un noi stesso sugli altri stessi possibili, noi desideriamo essere non scegliamo ne vogliamo, desideriamo perché desiderare e la migliore espressione evocativa di tutti i nostri sé.
Il buon senso mi dice che l'articolo potrebbe finire qui ma il mio senso compiuto mi fa continuare, ora non so dirvi se il buon senso è esperienziale o narrativo, né se il mio senso compiuto é narrativo o esperienziale, alla fine il fatto che continuo a dettare è ciò che conta, non quello che penso o penso di aver pensato di dover pensare che conta. Dal momento che la coscienza ha che fare con la somma di molte funzioni tra loro connesse, pur noi avendo un'unica sensazione e percezione e memoria della nostra coscienza, il lavoro che la nostra mente, PsicoBíoEmotiva, fa per noi è quello di darci un senso compiuto, coerente ed unico del nostro vivere. Quando affrontiamo un'esperienza con la paura si affacciano alla nostra mente decine e decine di pensieri che rallentano e distorcono il nostro processo, la paura è frutto di un sé narrativo, il se esperienziale sa cosa va fatto, ma ha più difficoltà ad apprendere modi diversi di essere, l'apprendimento ha che fare con la storia che ci raccontiamo, è legato al mito, alla magia, alla fede, ed alla ragione, l'apprendimento ci cambia, anche se attinge a piene mani dall'esperienza, è sensibile alla nostra storia, quella che ci raccontiamo naturalmente, ma anche artificialmente.
L'ipnosi è un'esperienza trasversale rispetto al mondo esperienziale, quello che viviamo, ed al mondo narrativo, quello che ci raccontiamo di aver vissuto, naturalmente la memoria vince sull'esperienza, in questo molte volte le esperienze non insegnano, ma dal momento che l'ipnosi è un'esperienza che lavora con stati di coscienza differenti, esperienziali e narrativi, allora è l'anello di congiunzione tra l'essere ed il fare, è ciò che dà natura al nostro esistere. L'ipnosi riesce a farci concentrare in modo continuativo su un'unica esperienza alla volta, rendendo il nostro gesto puro, mantenendoci in una condizione di flusso, un vuoto esistenziale dove ha spazio unicamente la nostra esperienza, solo in un secondo momento, attraverso un dialogo interiore, dove l'interlocutore é il nostro inconscio, ricostruiamo il sé biografico, in modo autobiografico, da qui in poi cominciamo ad «esistere», ma questa che vi ho raccontato è la favola dell'uomo moderno, può non piacere l'automobile, ci sarebbe magari piaciuto più andar a cavallo, può non piacere lo smartphone, ma la conoscenza obbliga, la visione di Steve Jobs ha cambiato il mondo dove viviamo e non è possibile tornare indietro, la favola dell'uomo moderno passa attraverso le neuroscienze e l'approccio con gli stati mentali, pur non dimenticando l'esperienza fisica, unisce inevitabilmente la narrazione con l'esperienza dandoci emozione, l'emozione è l'evocazione necessaria al vivere. Le neuroscienze, attraverso i nostri stati mentali, mettono in luce le esperienze che declinano in noi desiderio e libero arbitrio, sono la favola moderna inevitabile, chi non cambia passo fa la fine di chi ha continuato a leggere il manifesto non accorgendosi che la rivoluzione industriale aveva cambiato per sempre il mondo, è inevitabile che il nostro sé tecnologico, attraverso i social network ed affini, ci cambi il nostro sé biografico a spese del nostro sé esperienziale, credere per essere … essere per credere, ma meglio ancora «Let it be», che tradotto col mio pessimo inglese dice: «Fregatene», vivi e let it be.

mercoledì, agosto 23, 2017

La meravigliosa attitudine a pensare, ricordare, creare: la vita nell'immaginario. Marco Chisotti.

La meravigliosa attitudine a pensare, ricordare, creare: la vita nell'immaginario. Marco Chisotti.

La nostra abilità nel pensare ricordando e creando dell'immaginario ci rende capaci di creare un mondo, il mondo è l'emergenza, il disvelamento delle abilità cognitive della nostra mente, come corpo, cervello ed emozioni.
Con i nostri 86 miliardi di neuroni e le infinite possibilità di collegamenti, accorpamenti, congiunzioni possibili, se pensiamo che le infinite possibilità delle mosse possibili in una partita di scacchi è stato calcolato equivalgono a 1 seguito da 273 zeri, un numero di combinazioni che supera il numero degli atomi nell'universo conosciuto, e i pezzi del gioco degli scacchi sono definiti in 32 pezzi totali in una scacchiera di 64 posizioni, mentre i nostri 86 miliardi di neuroni hanno praticamente un numero infinito di possibili combinazioni tra loro.
Mi affascinano i numeri, non li amo particolarmente, ma fanno capire le dimensioni e comprendere le differenze, quello che ci manca è un termine di paragone tra noi e la conoscenza che ci sembra infinita. Quello che non teniamo in considerazione è che la conoscenza è un prodotto della nostra mente, intendendo con mente il complesso di elementi, cervello corpo ed emozioni, mentre la nostra mente costruisce per noi il nostro mondo, noi dimentichiamo che il mondo per come noi lo conosciamo è un nostro prodotto, e lo viviamo come assoluto, non come un'esperienza relativa alla nostra essenza. Il secondo principio della cibernetica è molto chiaro a riguardo e dice che noi non possiamo prescindere da come siamo fatti per dire come siamo fatti, seppur il nostro mondo, per come lo pensiamo funziona, ci da dei risultati, tutta la nostra vita gira intorno ai prodotti di questo nostro mondo, è sempre il prodotto della nostra mente.
Cosa succede nel momento stesso che non ci sono termini di paragone possibile? Intendo dire dove va a finire il nostro pensiero nel momento stesso che pensa senza confrontarsi con nulla oltre se stesso?
Noi siamo in grado di pensare, ma il nostro pensiero non è altro che una manifestazione di un esperienza intelligente, senza termine di confronto noi definiamo un assoluto, il pensiero tende all'assoluto, l'unica limitazione è il confronto nel pensare con altri pensieri, o meglio con altri pensatori, che però essendo come noi non sono altro che pensatori che producono loro pensieri, tendenti anch'essi all'assoluto.
Il mio intento non è creare un contesto filosofico, non farei altro che chiudermi nel mio pensiero, voglio solo considerare la nostra meravigliosa attitudine a creare mondi, con linguaggio e memoria, e a venderli come assoluti, reali a prescindere dal confronto, un confronto che non è possibile dal momento che i pensieri possono solo confrontarsi con altri pensieri prodotti a loro volta da menti pensanti, tali menti potranno anche di venire un giorno artificiali, quantunque non cambierà molto sarà sempre la produzione di una «verità» parziale, prodotto della nostra mente.
Per questa ragione molto semplice e pragmatica, dove la logica mi mantiene in un senso compiuto di realtà, mi sento di credere, e nel momento in cui credo costruisco qualcosa che non può esistere al di fuori del mio pensiero cosciente. La coscienza è alla base della conoscenza, senza coscienza non c'è conoscenza, il conoscere è un atto soggettivo derivato da una conoscenza collettiva, che può trovare un confronto unicamente in pensieri costruiti similmente, non può esistere un elemento esterno che possa decretare una verità come assoluta, ogni verità ed era per quanto è sostenuta da uno o molti che la credo tale.
Appurato che la nostra è un'esperienza non comparabile oltre al livello umano, dei nostri simili, non ci rimane che vivere di un pensiero relativo, nel pensiero relativo esistiamo, perché abbiamo coscienza dell'esistere, viviamo perché abbiamo la consapevolezza, attraverso nostro corpo, del vivere stesso, sentiamo la vita perché amplifichiamo il nostro vivere, trasformando le nostre sensazioni in emozioni.
È precisamente nella nostra coscienza autobiografica che noi completiamo l'essenza di noi stessi, la coscienza, a livello di memoria e linguaggio, prende un tono talmente elevato da sostenere se stessa. Coi mezzi attuali oggi a disposizione dei più, siamo in grado di donare ad ogni singola persona la capacità autobiografica, siamo in grado di vivere nella nostra storia personale, e lo possiamo fare senza bisogno di scomodare gli antenati, né di evocare i pronipoti, lo possiamo fare senza bisogno di confronto.
La cosa interessante è vedere come il senso compiuto di realtà, senso comune condiviso, sia in grado di tenerci uniti in un ideale di storia possibile, abbiamo la possibilità di raccontare storie le più strane e diverse, ma essenzialmente ripetiamo le storie che sentiamo, che riconosciamo, solo alcuni sono in grado di raccontare storie che vanno oltre i confini del mondo conosciuto, sono i visionari, sebbene siamo un po' tutti in grado di sognare, aprire visioni possibili del mondo, solo alcuni sono visionari che creano un mondo dove ancora non c'è.
La visione contingente del nostro mondo, una visione senza confronto, oltre al nostro pensare condiviso, rende difficile trovare elementi di verità condivisibili, i mondi possibili sono talmente tanti che è arduo definirne uno sugli altri, sarebbe importante ad esempio pensare al mondo fisico in cui viviamo, ai limiti entro i quali continua esistere, oltre i quali verrà distrutto. Sarebbe utile dedicarci a questo mondo per preservarlo della sua distruzione, ma questo confronto è legittimato unicamente da una scelta orientata al futuro, orientata alla vita di chi verrà, mentre noi siamo molto legati alla nostra vita contingente, pochi possono permettersi di pensare a un futuro, pochi sentono la forza di questo confronto.
In assenza di confronto tutto è possibile, è possibile che ci sia un mondo oltre la vita terrena, o non è possibile, il pensare l'una o l'altra esperienza non ci cambia la vita contingente più di tanto, sicuramente ci viene naturale fermare chiunque voglia, vedendo a un paradiso oltre la morte, toglierci la vita e trascinarci in quell'aldilà. Le religioni si basano tutte su queste proiezioni di mondi possibili senza confronto, si basano sulla fede, ma la cosa interessante è che noi siamo costantemente immersi in una fede, una fiducia costante nel nostro mondo.
Credo che la nostra coscienza, limitata o illimitata che sia, è una necessità, nata forse come risposta evolutiva, oggi è alla base della nostra struttura sociale, alla base del nostro vivere. La coscienza, l'esperienza del nostro stato mentale, del nostro essere, è una esperienza a cui noi siamo portati per la struttura stessa del nostro cervello, la coscienza è dunque struttura dipendente, ma capace di vita propria, dal momento che è in grado di pensare creando mondi immaginari nel linguaggio e nella memoria. Sono poche le esperienze che si conoscono a livello di coscienza, l'ipnosi è sicuramente la prima esperienza che l'umanità ha conosciuto e provato rispetto al vivere in uno stato di coscienza. ad oggi è la prima esperienza che ci permette di creare un mondo attraverso un confronto ideale. Possiamo sognare un mondo, prendere consapevolezza di quello che ci serve per crearlo, e realizzarlo, sogniamo un mondo molto spesso copiandolo dall'esperienza degli altri, per imitazione, alle volte creiamo un mondo copiando il nostro immaginario costruttivo, in questo caso creando il nuovo. E creativi sono in grado di vivere uno stato di coscienza alternativo a quello condiviso, in questo modo vedono sentono e percepiscono cose che, seppur sotto gli occhi di tutti, solo lo riescono ad usare. Lavorare con l'ipnosi, con gli stati mentali, ci permette di prendere coscienza dei meccanismi alla base della vita, prendere consapevolezza reale può nascere da un confronto immaginario con un io interiore alternativo, un nostro inconscio mondo.
Credo che, al momento attuale, la risorsa migliore che possediamo sia la possibilità di creare un altro io interiore col quale confrontarci, un io incrocio, che ci permette di creare la misura del nostro divenire, che rende affascinante la nostra migliore attitudine a pensare che possediamo, un inconscio magico nella misura in cui non esiste ma che attraverso il confronto con esso ci fa esistere. Questo credo che sia il traguardo delle religioni, quel dio molto personale che tutti quanti coltivano non è altro che il nostro io, non compiuto, in divenire, un mio ancora in parte inconscio, che poco alla volta diviene espressione di noi stessi. Purtroppo non esiste questo io, se non come prodotto della nostra costruzione, in questo percorso di crescita personale non dobbiamo dimenticare il confronto con l'io dell'altro, con l'io di ogni cosa che ci circonda, solo così possiamo vivere in un mondo ecologico, solo così l'immaginario può rispettare il mondo condivisibile ed ecosostenibile.

giovedì, agosto 10, 2017

La coscienza come unica realtà possibile, nel verbo essere: Io sono. Marco Chisotti

La coscienza come unica realtà possibile, nel verbo essere: Io sono. Marco Chisotti 

Prendo in analisi la possibilità di avere una mappa della nostra mente e del suo funzionamento al fine di valutare la possibilità di spiegare più in dettaglio l'attività degli stati mentali sull'origine della nostra coscienza, uso il lavoro sulla coscienza di Antonio Damasio e mi oriento sui tre punti principali che lui ha sviluppato durante le sue ricerche:
1. La biologia che permette alla conoscenza della coscienza (consciousness), la nostra consapevolezza, di cogliere i passaggi dall'innocenza (innocence) e dall'ignoranza, mancanza di conoscenza e dunque di consapevolezza, fino alla conoscenza che obbliga impegnandoci a pensare ed agire, ed al senso di sé, il nostro essere ed esistere a noi stessi ed agli altri.
2. Il senso del sé (sense of the self), l'identificazione del proprio se autoriferito, autobiografico, attraverso memoria del corpo (comprensivo del secondo cervello la pancia) e del cervello principale, il capo.
3. La teoria di emozioni e sentimenti che emerge dal lavoro di Antonio Damasio
Ci sono due elementi che dobbiamo prendere in considerazione per affermare il concetto di coscienza:
Il primo elemento da prendere in considerazione è come il nostro cervello crea i modelli (patterns) mentali che vengono definiti immagini (images), con immagine bisogna intendere uno schema mentale in una delle nostre modalità sensoriali, come l'immagine di un suono, un'immagine tattile, l'immagine di uno stato di benessere: queste immagini portano con sé aspetti delle caratteristiche fisiche dell'oggetto e possono anche portare con sé la reazione di piacere o di dispiacere che abbiamo per l'oggetto, i progetti che possiamo formulare su di esso o la rete di relazioni di quell'oggetto nell'ambito di altri oggetti. È ciò che intendiamo ancoraggio, implicare esperienze diverse evocando l'hai con un'unica sensazione, percezione, cognizione. Oltre alle immagini ci sono gli oggetti, per oggetto intendiamo entità tra loro assai diverse come una persona, un luogo, una melodia, un mal di denti, uno stato paradisiaco, queste sono le due parti di lavoro del nostro cervello, un lavoro per immagini, è un lavoro sugli oggetti.
Il secondo elemento da prendere in considerazione si riferisce a come, contemporaneamente alla costruzione degli schemi mentali di un oggetto, il cervello costruisca anche un senso del sé nell'atto di conoscere. Noi manteniamo una nostra identità continua durante tutte le attività cognitive che svolgiamo, anche se la nostra concentrazione e altrove, noi siamo coscienti di noi stessi. E questo è un elemento molto importante, risolvendo il quale avremmo chiarezza su come la coscienza si espande sia sulla realtà che sono gli stessi, nella stessa maniera in cui, a differenza delle macchine fotografiche che hanno bisogno di cambiare obiettivi, il nostro cervello opera in modo parallelo su esperienze differenti.
Si tratta di scoprire se possibile il substrato (underpinnings) biologico di quella capacità umana di costruire anche gli schemi mentali che portano con sé gli oggetti, il senso di un sé nell'atto di conoscere, altre all'attività legata alle immagini stesse.
La coscienza comincia come il sentimento di quello che succede (the feeling of what happens) quando vediamo sentiamo o tocchiamo quindi il sentimento che accompagna la fabbricazione delle relative immagini all'interno del nostro organismo. È una forma di conoscenza senza parole, la forma più semplice in cui questa conoscenza senza parole emerge mentalmente è il sentimento di sapere (the feeling of knowing), il sentimento di quello che capita quando un organismo è impegnato a processare un oggetto, ed è solo dopo che possono cominciare a verificarsi inferenze e interpretazioni intorno al sentimento di sapere.
Esistono quindi due differenti esperienze una è legata al sentimento di quello che succede, l'altra è legata al sentimento di sapere, noi ci rendiamo conto di un'esperienza e poi vogliamo capirla.
Ci concentriamo sulla spiegazione di come il senso del Self, autoconsapevolezza, nell'atto di conoscere un oggetto compaia nella mente, lasciando in secondo piano il problema dei quaglia.
I qualia sono le qualità sensoriali semplici che si trovano nel blu del cielo oppure nel tono di un suono prodotto da un violoncello e i componenti fondamentali delle immagini nella metafora del film sono pertanto fatti di qualia.
Avere dunque un senso del self, una consapevolezza di sé non è solo richiesto per conoscere in senso stretto, ma può anche influenzare il processare una qualunque cosa da conoscere. In altre parole, occupandosi del problema del self, della coscienza ci si occupa anche del problema dei qualia con riferimento alla rappresentazione dell'organismo che ha coscienza.
Qui di seguito vado a considerare alcune osservazioni sul lavoro di Damasio che sottolineano elementi strutturali del cervello rispetto alla coscienza delle osservazioni neurologiche e degli esperimenti:
a) In particolare ci sono alcuni aspetti della coscienza che possono essere messi in relazione con l'operatività di specifiche regioni e sistemi cerebrali, portando in questo modo a conoscere l'architettura neurale che fa da supporto alla coscienza stessa. Le regioni e sistemi in questione si raggruppano in una parte limitata dei territori cerebrali e quindi, come per funzioni quali la memoria ed il linguaggio, ci sarà un'anatomia della coscienza. La coscienza ha una sua locazione come per le funzioni della memoria e del linguaggio, ha dunque lo spazio privilegiato in cui lavora nel nostro cervello.
b) La coscienza e lo stato di veglia, così come la coscienza e l'attenzione di basso livello, possano essere separate. Coscienza è stato di veglia sono così due esperienze che riguardano aree differenti del cervello e che possono essere quindi separate, non c'è dunque una influenza da parte della coscienza, consapevolezza sullo stato di consapevolezza d'esser svegli.
c) Invece coscienza e emozione non sono separabili: quando la coscienza è lesa, altrettanto lo è l'emozione. Quando siamo emozionati le nostre emozioni impattano sulla nostra coscienza, generando stati mentali alternativi, o alterati, rispetto allo stato mentale di partenza.
d) La coscienza non è monolitica, perlomeno negli esseri umani, può essere separata in due tipi, semplice e complessa, Core consciousness e extended consciousness.
La Core consciousness (coscienza nucleare, nel senso di nucleo della coscienza), offre all'organismo un senso del self, una consapevolezza, rispetto ad un determinato momento (ora) e ad un determinato luogo (qui). E l'abilità del nostro cervello di mettere insieme spazio e tempo in un'unica dimensione, il tempo come la quarta dimensione dello spazio come intendeva Einstein. L'ipnosi in particolare È molto sensibile alla dimensione spazio temporale, parlando di ipnosi verticale si va in profondità di trans, perdendo poco alla volta le funzioni complesse del nostro cervello, fino ad arrivare allo stato di sonno dove sia perdita di coscienza, parlando di ipnosi orizzontale, la coscienza rimane integra ma dedicata a un altro soggetto, impossessamento, trasferimento, si vive nei panni di un'altra persona o un'esperienza «reale», ci si sposta nel tempo e nello spazio utilizzando in modo continuativo tutte le funzioni del nostro cervello. L'ambito della core consciousness è il qui e ora; la core consciousness non illumina il futuro ed il solo passato che ci lascia vagamente intravedere è quello che si è verificato proprio un momento fa; non c'è un altrove, non c'è un prima, non c'è un dopo, è l'istante che continua. Durante l'esperienza dei trans regressiva si vive spesso una trasposizione in un'altra persona, L'ipnosi è di tipo orizzontale in questo caso, non sia perdita di attività cognitiva, se non in piccola parte, e cervello viene mantenuto attivo in tutte le sue parti, questo può essere messo in luce se si monitorizza l'attività cerebrale.
L'Extended consciousness (coscienza estesa), il tipo complesso di coscienza, esperienza che portiamo della nostra identità, è l'insieme del nostro essere cosciente, infatti quando consideriamo la coscienza pensiamo all'extended consciousness ai suoi livelli più alti, costruita sui fondamenti della core consciousness. Ai due tipi di coscienza corrispondono due tipi di self, consapevolezza: core self, consapevolezza di base e autobiographic self, consapevolezza autobiografica, dove viene registrata la nostra storia personale, la narrazione di noi stessi.
e) La coscienza è semplicemente spiegata in termini di altre funzioni cognitive, come il linguaggio, la memoria, la ragione, l'attenzione e la memoria di lavoro. Mentre queste funzioni sono davvero necessarie perché la parte più elevata dell'extended consciousness possa operare normalmente, lo studio dei pazienti neurologici suggerisce che esse non sono peraltro richieste per la core consciousness. In conseguenza di questo, una teoria della coscienza dovrebbe essere non solo una teoria di come la memoria, la ragione e il linguaggio aiutano a costruire, dall'alto al basso, un'interpretazione di quello che succede nel cervello e nella mente (certo, la memoria, le inferenze intelligenti e il linguaggio sono fondamentali per la generazione di quello che chiamo l'autobiographical self e il processo di extended consciousness) ma dovrebbe dar conto anche del fenomeno più semplice e di base che si verifica in prossimità della rappresentazione inconscia dell'organismo interessato. Questo per dire che si deve valutare molto l'aspetto fisico dell'esperienza cosciente, alla base dei nostri comportamenti cioè costantemente una conoscenza di base che ci mantiene vivi, e che seppur rimane separata dalla coscienza e non interferisce direttamente, e comunque parte integrante dell'esistere.
La coscienza quindi è il rito di passaggio che consente ad un organismo, provvisto della capacità di regolare il suo metabolismo, di riflessi innati e della forma di apprendimento nota come condizionamento, di diventare un organismo con una mente (minded), cioè un tipo di organismo in cui le risposte sono modellate da una preoccupazione e cura (concern) mentale per la vita stessa dell'organismo. Ogni essere vivente esprime poi a modo proprio, a seconda della sua complessità, una propria coscienza, dagli individui più semplici a quelle più complesse anche l'articolazione della narrazione diviene sempre più sofisticata, autoreferenziata, noi siamo protagonisti, non solo della nostra vita, anche, in qualche modo, protagonisti di una storia che dal passato, quello che siamo stati, va ad un futuro, quello che saremo dopo la nostra morte.
La coscienza è stata espressa come una costruzione, nel modello proposto da Damasio, dove la coscienza da un lato è attiva nell'organismo che è impegnato nella relazione con qualche oggetto, e dall'altro lato l'oggetto stesso della sua relazione causa un mutamento nell'organismo.
Così il problema di capire la biologia della coscienza diventa la questione di scoprire come il cervello può mappare sia i personaggi sia le relazioni che essi intrattengono. Qui si può comprendere la complessa, articolata esperienza della relazione, e attraverso la relazione che si hanno i cambiamenti nella relazione d'aiuto, l'Ipnosi è un'attività continua proposta di cambiamento attraverso la relazione, l'ipnosi costruttivista dal lato suo in particolare, declina tutti i passaggi costruttivi dell'esperienza complessa della coscienza.
Nel gioco relazionale della coscienza, l'oggetto si mostra in forma di schemi neurali nelle aree corticali sensoriali appropriate a mappare le sue caratteristiche. Dal punto di vista dall'organismo, però, le cose sono alquanto differenti. Infatti esiste una strana asimmetria in cui alcune parti del cervello sono libere di girovagare per il mondo e, così facendo, sono libere di mappare qualunque oggetto la determinazione dell'organismo consenta loro di mappare, d'altro canto altre parti del cervello, quelle che rappresentano lo stato proprio dell'organismo, non sono per niente libere di girovagare, sono bloccate, non possono mappare null'altro che il corpo e lo possono fare solo all'interno di mappe largamente predeterminate. Siamo costantemente oscillanti tra desideri e necessità, e tutto quanto viene processato, ed equilibrato, a livello inconscio, una piccola porzione emerge, a livello di coscienza, e la porzione noi la definiamo libero arbitrio.
Questo evento, principio omeostatico del corpo, è governato dal cervello con un macchinario neurale in grado di accorgersi delle variazioni chimiche del corpo e decidere azioni votate al sopravvivenza dell'organismo stesso: questa è una nuova conoscenza che viene creata man mano che degli oggetti presenti o rievocati interagiscono con l'organismo e ne causano un cambiamento. Quindi la forma più semplice di questa conoscenza è il sentimento di sapere. Da qui il nostro forte bisogno di capire, conoscere, un'esperienza questa che completa la nostra coscienza basale di un corpo e delle sue necessità funzionali che sono per noi inconscie.
Le radici profonde del self, compreso il self elaborato che implica l'identità e la personazione (personhood, il costituirsi e modellarsi della personalità, costituita da una parte di carattere, legata alle nostre esperienze, è una parte legata al temperamento che ci viene dal nostro DNA.), vanno ricercate nell'insieme degli strumenti (devices) cerebrali che continuamente e inconsciamente mantengono lo stato corporeo all'interno di quella ristretta gamma e di quella relativa stabilità che sono necessarie per la sopravvivenza. Questi strumenti rappresentano continuamente, inconsciamente, lo stato del corpo vivente in tutte le sue molte dimensioni. Damasio chiama lo stato di attività all'interno dell'insieme di questi strumenti proto-self, il precursore inconscio dei livelli di self che compaiono nella nostra mente come protagonisti consci della coscienza: il core self e l' autobiographical self.
Il Core self (self nucleare, nucleo del self) è il senso di sé che emerge nella core consciousness, un'entità provvisoria, che viene incessantemente ricreata per ogni specifico oggetto con cui il cervello interagisce. Come se noi fossimo attrezzati ad avere più conoscenze per le concentrazioni che mettiamo delle nostre esperienze, come se ogni esperienza chiedesse di essere così seguita da dedicarci una coscienza. Nel campo nello sport è facile trovare quest'esperienza nella condizione di flusso, una concentrazione particolare, una vera e propria coscienza dedicata.
L'autobiographical self è Invece un processo di attivazione e di visualizzazione coordinata di ricordi personali basato su una rete a più siti: le immagini che rappresentano questi ricordi esplicitamente sono mostrate in molte aree corticali antiche e sono poi mantenute nel tempo dalla memoria di lavoro; esse sono trattate come un qualunque altro oggetto e diventano note al semplice core self generando i loro propri impulsi (pulses) di core consciousness.
L'autobiographical self (self autobiografico) è legata all'idea di identità e corrisponde a una collezione non provvisoria di fatti unici e di modi di essere che caratterizzano una persona. L'autobiographical self dipende da ricordi (memories) sistematizzati di situazioni in cui la core consciousness era impegnata nel conoscere le caratteristiche più invarianti della vita di un organismo: da chi si sia nati, dove, quando, che cosa ci piaccia e che cosa non ci piaccia, il modo in cui per solito reagiamo a un problema o a un conflitto, il nostro nome e così via.
L'identità e la personazione, le due nozioni che vengono per prime in mente quando pensiamo alla parola sé, richiedono una memoria autobiografica (autobiographical memory), per denotare la registrazione organizzata degli aspetti principali della biografia di un organismo, e l'attualizzazione nell'autobiographical self. Il deposito delle registrazione nella memoria autobiografica contiene i ricordi che costituiscono l'identità insieme con i ricordi che ci aiutano a definire la nostra personazione.
Emozioni e sentimenti aprono il capitolo dove Damasio applica una distinzione tra 'sentire' e 'sapere di avere un sentimento' (feeling versus knowing that we have a feeling); questo dipende dal fatto che lo stato di sentire non implica che l'organismo che sente sia pienamente cosciente dell'emozione e del sentimento che si stanno dispiegando, può essere una effrazione del senso comune di intendere, ma il nostro organismo può sentire senza avere consapevolezza e questo sentire implica una reazione del corpo. Damasio sostiene che un organismo possa rappresentare in schemi neurali e mentali quello stato che gli individui consci chiamano sentimento, senza neppure sapere che quel sentimento sta avendo luogo. Questa separazione è difficile da vedere, non solo per via del tradizionale significato delle parole, ma anche perché tendiamo ad essere consci dei nostri sentimenti, tendiamo a privilegiare gli aspetti conosci della nostra esperienza. Non vi è peraltro alcuna prova che noi si sia consci di tutti i nostri sentimenti, ed anzi molte cose suggeriscono che non lo siamo affatto. I sentimenti probabilmente anticipano gli eventi, noi con la nostra coscienza abbiamo un ritorno secondario di ciò che è successo.
È per prendere in considerazione questi fenomeni, è bene separare tre stadi possibili di questo processo:
· lo stato dell'emozione, scatenato ed eseguito in modo non conscio, vivere un emozione, manifestarla a livello corporeo, non avere però nessuna consapevolezza del fatto.
· lo stato del sentimento, che può essere rappresentato in modo non conscio, vivere un sentimento, avere manifestazioni cognitive del sentimento, ma non avere consapevolezza precisa di quello che è accaduto.
· lo stato del sentimento reso conscio, cioè noto all'organismo cha ha sia l'emozione sia il sentimento, referenza completa sia livello di emozione e di sentimento.
Mantenendo netta la distinzione tra emozione (una collezione di risposte, molte delle quali sono osservabili pubblicamente) e sentimento (l'esperienza mentale privata di un'emozione), si può affermare che:
· alcuni aspetti delle emozioni che danno origine ai sentimenti sono chiaramente osservabili, le mie reazioni cognitive possono essere le più disparate, non possono essere osservate, possono rimanere come mia esperienza interiore;
· i meccanismi di base che sottostanno all'emozione non richiedono la coscienza: lo stesso verificarsi di un sentimento nella limitata finestra di tempo del qui-e-adesso è concepibile senza che l'organismo in realtà ne conosca l'accadere, possono partire dei meccanismi inconsci, dei quali non conosciamo l'origine, e possono darci manifestazioni somatiche, o sentimentali, potenzialmente non consapevoli;
· non siamo necessariamente consci di che cosa induca un'emozione e non possiamo controllare un'emozione con la volontà: in altre parole, possono verificarsi rappresentazioni – dell'esterno e dell'interno – al di sotto della consapevolezza e nondimeno esse possono creare risposte emotive, gli ancoraggi sono un esempio tipico di implicazioni in consapevoli o consapevoli di stati mentali, stati emotivi, che si sono memorizzati nel corpo e nel cervello di cui non abbiamo necessariamente consapevolezza;
· possiamo in parte controllare se permettere ad un'immagine, capace di scatenare emozioni, di restare o meno come obiettivo dei nostri pensieri; possiamo inoltre controllare in parte l'espressione delle nostre emozioni: alcuni di noi diventano abbastanza bravi nel prevenire l'espressione di un'emozione, ma, in sostanza, quello che riusciamo a conseguire è solo la capacità di dissimulare alcune delle loro manifestazioni esterne, senza mai diventare capaci di bloccare i mutamenti automatici che avvengono nelle viscere e nel nostro ambiente interno. Questo fenomeno rende molto significativo il lavoro Psico Bío Emotivo nelle relazioni d'aiuto dal momento che interviene su tre livelli differenti, tre diverse finestre di apertura che possono essere alternativamente cosce o inconsce all'individuo stesso, e questo sia che la persona sia consapevole o o inconsapevole del trattamento ricevuto;
· lo scatenamento dell'emozione è completamente non conscio, il che spiega, tra l'altro, perché le emozioni sono così difficili da imitare consciamente (sono eseguite da strutture cerebrali profonde, sulle quali non è possibile esercitare alcun controllo volontario).
Le emozioni (tradizionalmente distinte in primarie, secondarie e di sottofondo) condividono tutte un insieme di fatti biologici:
· sono collezioni complesse di risposte chimiche e neurali che formano degli schemi, strutturazioni abitudinarie, hanno un qualche ruolo di regolazione da svolgere, riequilibrio, ristrutturazione, e portano tutte, in un modo o nell'altro, alla creazione di circostanze vantaggiose per l'individuo che le sperimenta, l'inconscio lavora sempre a vantaggio della persona, a meno di lavorare per incroci collettivi per cui lavora per un vantaggio di gruppo. Queste circostanze vantaggiose agiscono mediante la produzione di una specifica reazione alla situazione causativa, regolando lo stato interno dell'organismo per predisporlo a quella specifica reazione; le emozioni vanno pertanto considerate come un componente di livello alto nell'ambito dei meccanismi di regolazione vitale;
· sono processi biologicamente determinati, in dipendenza da strumenti cerebrali precostituiti in modo innato sulla base di una lunga storia evolutiva, come per il linguaggio molte altre funzioni biologiche e agiscono a livello relazionale partendo da una base innata;
· gli strumenti cerebrali che producono le emozioni occupano una piccola area delle regioni subcorticali, nell'ambito delle strutture deputate alla regolazione ed alla rappresentazione degli stati corporei;
· tutti questi strumenti entrano in azione in modo automatico, senza alcuna deliberazione conscia, ed operano in modo fondamentalmente stereotipato;
· le emozioni usano il corpo come loro teatro, ma influenzano anche il modo di operare di numerosi circuiti cerebrali, alterando profondamente sia il panorama corporeo sia quello cerebrale; la collezione di questi cambiamenti costituisce il substrato degli schemi neurali che possono diventare sentimenti. Forma e processo sono le due parti dell'esperienza, il processo, é per buona parte inconscio, è lo scatenarsi delle emozioni, il processo lascia spazio alla forma, attraverso l'uso del linguaggio, quando si acquisisce consapevolezza, a quel punto i sentimenti prendono spazio nel nostro pensare;
· tutti gli oggetti tendono ad acquisire un qualche attaccamento emotivo, alcuni più rapidamente di altri: c'è una certa corrispondenza tra certi tipi di stimoli e certe classi di emozioni. Tutta la percezione attorno a noi é mappata dal nostro cervello ed è tradotta in memorie del corpo e memorie cognitive, il tutto scatenando in noi emozioni che contribuiscono alla memorizzazione dell'esperienza.
Sappiamo quindi di avere un'emozione quando si crea nella nostra mente il senso di un self che sente (feeling self); ma sappiamo di sentire un'emozione precisa, la riconosciamo, solo quando sentiamo che l'emozione è sentita come qualcosa che capita all'interno del nostro organismo. Questo senso di qualcosa che capita all'interno dell'organismo viene dal fatto di rappresentare il proto-self e dalle sue variazioni nelle strutture di second'ordine, le strutture orientate a consapevolizzare l'esperienza. Il senso dell'emozione come oggetto viene dal fatto di rappresentare nelle strutture che sottendono alle rappresentazioni di second'ordine lo schema di attività nei siti di induzione dell'emozione. Alla stregua di quello che succede per gli altri tipi di oggetto Damasio propone che:
· il proto-self iniziale è rappresentato a livello di second'ordine;
· l'oggetto che sta per cambiare il proto-self. (lo schema di attività neurale nei siti induttori di emozione) è rappresentato a livello di second'ordine;
Sentire un'emozione è una cosa semplice: consiste nell'avere immagini mentali che nascono dagli schemi neurali che rappresentano le variazioni nel corpo e nel cervello che costituiscono un'emozione. Ma sapere che abbiamo quel sentimento, sentire quel sentimento (feeling that feeling), si verifica solo dopo aver costruito le rappresentazioni di second'ordine necessarie alla core consciousness.
La collezione di schemi neurali che costituiscono il substrato di un sentimento origina in due classi di variazioni biologiche:
1. variazioni riferite allo stato corporeo, ottenute attraverso due meccanismi:
· body loop: il panorama corporeo muta e viene poi rappresentato nelle strutture somatosensoriali del sistema nervoso centrale, c'è un evidente somatizzazione del sistema nervoso centrale, mutazione del corpo, per questo motivo si parla di loop del corpo;
· as if body loop: la rappresentazione dei mutamenti corporei viene direttamente creata nelle mappe sensorie somatiche, per effetto dell'azione di altre aree cerebrali, senza che sia intervenuta alcuna reale modificazione corporea (simulazione interna), e di questa situazione interna potremmo non avere nessuna consapevolezza.
2. variazioni riferite allo stato cognitivo, per opera della secrezione di specifiche sostanze chimiche che inducono significative alterazioni della funzione cerebrale, quali l'induzione di particolari comportamenti (legame, gioco, ecc.), una variazione nella modalità in atto nel processare gli stati somatici (filtri, inibizioni, ecc.), una variazione della modalità del processo cognitivo (una variazione del ritmo di produzione delle immagini, ecc.). Queste tre modalità sarebbero presenti in varie specie non-umane, ma solo negli esseri umani la terza potrebbe essere conscia.
Portando il discorso alla conclusione, uso la tesi del "marcatore somatico" di Damasio: il nostro corpo manda dei segnali che noi cogliamo attraverso le sue manifestazioni (battito cardiaco, ritmo del respiro, movimenti viscerali, sudorazione) e che ci orientano. Le sensazioni positive sono l'implicito e automatico "ok", mentre quelle negative servono da inibitori rispetto alla scelta cui siamo di fronte e di cui l'organismo valuta i possibili esiti sulla base delle esperienze precedenti e di meccanismi innati.
«La nostra comprensione del processo delle sensazioni, ovvero delle esperienze mentali associate agli stati corporei, è cresciuto molto negli ultimi anni, le sensazioni sono la chiave per comprendere la mente umana (insieme alle emozioni, ovvero programmi di azione suscitati da stimoli esterni, come la paura, che ci fa scappare o combattere, e la compassione, che ci fa aiutare chi soffre). Attraverso lo studio delle sensazioni capiamo come funziona la nostra bussola morale, la nostra creatività e anche il processo della soggettività, che è la componente principale della coscienza». Antonio Damasio.
Prendendo spunto da Damasio e dalla sua teoria dell'io e della coscienza, e della loro origine si può proprio a partire dalle sensazioni corporee, le prime di cui abbiamo consapevolezza, le prime che ti possono guidare nel Metodo Psicobioemotivo al trattamento della persona, senza incagliarci nel mondo dei idee, le prime che ci permettono, ascoltando ciò che ci dice la persona, di essere guidati verso la soluzione nella relazione d'aiuto.
«Si tratta della combinazione della capacità di avere una sensazione (o un'emozione) in relazione a un oggetto o a un'idea e della capacità di collocare la sensazione e l'immagine dell'oggetto o dell'idea all'interno delle coordinate del nostro corpo». Antonio Damasio.
A proposito della coscienza, in particolare della caratteristica fondamentale della coscienza, costituita appunto dalla soggettività, la soggettività è la capacità di avere una esperienza mentale che fa riferimento al proprietario della mente, il nostro io inteso come processo (e non come entità astratta), ci permette di porre in noi l'esperienza, di sentirla come nostra, molte persone continuano ad avere un'intuizione ingenua sul rapporto tra mente e cervello, pensano che la mente sia qualcosa che viene prima, che può, per così dire, prendere le distanze dal corpo, e qui per me nascono le principali concezioni errate da cui partire nella relazione d'aiuto.
«Non c'è nulla di intuitivo su come corpo e cervello producono i processi mentali, se per intuizione intendiamo uno modo speciale di conoscere. La mia convinzione è che più si impara sulla struttura e sul funzionamento dei nostri corpi e dei nostri cervelli, migliori idee possiamo formulare su come funziona il tutto». Antonio Damasio.
È praticamente un anno che seguo in modo dettagliato le idee che Damasio ha strutturato nell'idea di «mente», e del suo funzionamento, nell'attività pratica, che portiamo avanti nella SIC Scuola di Ipnosi Costruttivista, emerge in modo chiaro che l'accesso privilegiato non può essere quello cognitivo, l'Io e le sue forme narrative, ma un processo integrato, Metodo Psico Bío Emotivo come ho già detto, che prende in considerazione accessi multipli e sviluppi articolati del modo di ristrutturare la propria narrazione e di conseguenza le somatizzazioni, o marcatori somatici, del nostro vivere.

martedì, agosto 08, 2017

Sfida ad un mondo apparentemente semplice: la narrazione del nostro se autobiografico. – Telegraph

Sfida ad un mondo apparentemente semplice: la narrazione del nostro se autobiografico.






È possibile cambiare un processo narrativo, autobiografico ed auto referenziale in atto tra due o più persone?
Nei processi emotivi e relazionali ( comunicazione, relazione affettiva, relazione lavorativa, relazione emotiva, relazione familiare, relazione amicale, relazione sessuale) quando nella persona ha preso il sopravvento la parte emotiva e fisica su quella cognitiva (vedi innamoramento ad esempio o rabbia, disgusto o qualunque emozione possa coinvolgere il corpo) allora non c'è modo. 
Se si mantiene intenso il livello cognitivo, allora è possibile ottenere risposte differenti, il livello di equilibrio nelle componenti Psicobioemotive è fondamentale per poter avere più possibilità di scelta.
L'"energia" in un organismo, come quello umano, costituisce un 100% ed è distribuito nelle tre parti del nostro sistema, cervello, corpo, emozioni, in base alle percentuali noi agiamo (acting out fisico) ci emozioniamo (paura, rabbia, desiderio, stupore esprimiamo emozioni) pensiamo (ragioniamo, progettiamo, immaginiamo usiamo la nostra cognizione. I tre processi Psicobioemotivi sono frammezzati (miscelati tra loro) noi abbiamo coscienza unicamente del processo di consapevolezza finale.
La stessa spiegazione è possibile calibrarla sui tre cervelli (le tre parti evolutive che compongono il nostro cervello, il cervello rettile, il cervello mammifero, e la neocorteccia), o spiegarla sulla divisione delle tre coscienze che possediamo, in quanto animali possediamo una coscienza base strettamente legata alla percezione di un corpo fisico, in quanto esserci sociali, animali superiori, abbiamo una coscienza relazionale, ci percepiamo attraverso la relazione con l'altro, in quanto esseri umani possediamo una coscienza autobiografica resa possibile dalla nostra memoria e dal nostro linguaggio.





La descrizione da cui si parte, in qualunque processo esperienziale di cui siamo consapevoli parte a livello del sé autobiografico, questo fatto rende difficile affermare quale sia il rapporto tra le componenti fisiche, cognitive, ed emotive dell'esperienza vissuta, nel caso si venga a capo di questa relazione, è possibile raggiungere la consapevolezza delle componenti che in noi entrano in moto nel formularci le domande, le percentuali Psicobioemotive messe in gioco nella nostra esperienza di coscienza per capirci, ci permettono di trovare una risposta. 
Capisco che la risposta alla domanda iniziale sia finita con l'essere una risposta autoreferenziale, ma vi assicuro che chiunque possa vendervi una vera risposta non potrà che essere un bugiardo, almeno nella visione costruttivista, alla luce della quale riporto qui il mio pensiero, la verità è appunto l'invenzione di un bugiardo.
Il processo autoreferenziale della narrazione è dunque soggetto a tre componenti differenti, l'azione fisica, l'esperienza emotiva, la spiegazione cognitiva l'equilibrio tra queste tre parti determina la consapevolezza narrativa in cui ci troviamo.
Il lavoro che ci si prepara a fare nel tentativo di aiutare qualcuno a superare le proprie difficoltá ad esempio, lo si definisce in ambito psicologico col tema "gestione delle emozioni", solo che è limitato alle emozioni ed alla parte cognitiva, se si procede solo dal punto di vista psicologico non si completa il lavoro e rimangono le memorie del corpo a dettare i nostri comportamenti. Il metodo Psico Bío Emotivo che stiamo sviluppando con la scuola di ipnosi costruttivista si interessa di cogliere tutti e tre gli aspetti dell'esperienza umana. Solo attraverso una gestione equilibrata di questo equilibrio in tutte le sue forme ci permette di raggiungere una maturazione cognitiva, una desensibilizzazione fisica, ed un nuovo equilibrio emotivo. Ogni tentativo di intervento parziale è al contrario un rafforzamento del disequilibrio iniziale.




















domenica, agosto 06, 2017

Tra Verità e Metodo. Marco Chisotti.

   Tra Verità e Metodo.  Marco Chisotti.

Il titolo potrebbe essere tra religione e spiritualità, dal momento che la religione la considero un insieme di valori credenze e convinzioni da seguire attraverso dei rituali che ci dimostrano di essere sulla strada giusta, o meglio nella vita giusta. La spiritualità è qualcosa che va oltre al materiale, è considerabile più un via, un cammino.

Ho preferito parlare di verità, in quanto le verità sono ciò che ci propongono le religioni, e metodo perché il metodo è una via, un cammino.

Ho fatto alcune ricerche e devo dire che ho avuto subito la sensazione di essere guidato, non c'è nulla di male nell'essere guidati, ma ho sviluppato una sorta di allergia immediata verso coloro che cercano di guidarmi, rischiando anche di perdere delle amicizie sento che è un forte problema per me sentire che qualcuno vuole prendermi per mano e portarmi dove vuole lui o lei.

Probabilmente questa mia tendenza mi viene da trent'anni di lavoro con l'ipnosi, un sistema che mette in chiaro fin da subito quanto sia facile essere guidati, dove condizionati e manipolati.

Dunque la domanda da cui sono partito che differenza c'è tra religione e spiritualità, che mi ha portato a rispondermi semplicemente come ho detto che la religione è un insieme di valori credenze e convinzioni, considerate vere da chi le propone, mentre la spiritualità è un cammino, una via, dove si mette da parte il mondo materiale, e qui mi fermo perché ho capito che è un percorso totalmente personale, se non si vuole cadere in una religione, e dunque il metodo ognuno se lo deve costruire.

Rimango un po' deluso dunque da una ricerca, se pur minima, che mi sembrava una bella intuizione, mentre mi ha spinto a riconsiderare la domanda, e trovandoci verità e metodo, in tale modo mi sono ritrovato a casa, nel senso che da sempre mi chiedo cos'è la verità, e finora la risposta più illuminante e per me è stata quella di Heinz von Foerster, « la verità è l'invenzione di un bugiardo», dove e con poche parole uno dei padri del costruttivismo, che indica con chiarezza il tentativo continuo delle persone a dire come fatto il mondo, e a rendercelo credibile.

Per quanto riguarda il metodo mi viene subito in mente Edgar Morin, il padre del concetto di complessità, dal mio punto di vista, che con la sua opera La Metode ha dato saggio scopo lo so contributo alla mia conoscenza, quantomeno alla conoscenza dell'epistemologia con la quale ho cominciato a chiarirmi la vita.

Ancora una volta mi è chiaro il motivo per cui da un lato amo l'anarchia, e dall'altra le neuroscienze, e qui cercherò di dare chiarezza a questa mia posizione. L'anarchia è la via, il cammino che dovremmo essere capaci a seguire, nel rispetto totale della libertà degli altri, perseguendo la nostra tale libertà, di scelta, di vita. Le neuroscienze per me rappresentano uno studio mirato di come funzioniamo, un approfondimento della conoscenza dell'uomo, un disvelamento fondamentale per poter sapere di esistere, dal mio punto di vista naturalmente te, una chiarezza che ancora manca, dalla quale partire, per dare un senso compiuto al nostro vivere.

L'ipnosi, da me sempre considerata come un lavoro sugli stati mentali, è verità e metodo, nel senso che mette in chiaro come la verità sia frutto sempre di una forma manipolativa, e questo è valido qualunque sia la verità che si vuole sostenere, o di cui si ha bisogno, E qui il mio senso di libertà mi spinge a dire che la soluzione e nell'anarchia, da capirsi e comprendersi nel vero significato che è stato capace di dare a questo concetto Noam Chomsky, dal suo libro «Anarchia, idee per l'umanità liberata».

Il metodo è tracciato da un chiaro percorso che ci indica lo studio dell'Ipnosi, per la precisione dal mio lavoro, l'Ipnosi costruttivista, le cui risposte sono chiare, ed i risultati certi, e qui le neuroscienze ci mettono in luce con chiarezza il vero senso del percorso dell'Ipnosi costruttivista, noi non possiamo prescindere da come siamo fatti per dire ciò che siamo.

Sul concetto di anarchia dunque vi rimando al lavoro di Chomsky, mentre il punto sulle neuroscienze lo considero sul lavoro di Antonio Damasio, dal momento che l'unico neuroscienziato, dal mio punto di vista, che ha saputo chiarire da un lato l'indispensabile supporto del corpo alla coscienza, dall'altro lato l'inevitabile moltiplicazione dei livelli di coscienza raggiungibili.

Ho passato tanti anni a contatto con mondi di conoscenze differenti, alla fine ciò che ha mediato queste conoscenze, rendendole usufruibili e comprensibili, è sempre stata la relazione, e la relazione non è altro che lo sviluppo della conoscenza stessa attraverso l'ascolto dell'altro, un ascolto attivo, dunque empatico, costruttivo, un entrare nella storia dell'altro pur mantenendo la nostra storia personale.

Come dice Damasio, il nostro sé biografico, la forma di coscienza superiore che possediamo, deriva dalla nostra abilità mnemonica, e dalla nostra abilità linguistica, considero importante a questo punto considerare per linguaggio come una dote innata nell'uomo, il linguaggio non si acquisisce si vive, e parte integrante della crescita della persona, nel dire questo adotto il concetto di Chomsky, sul linguaggio generativo, la capacità linguistica è innata nell'umanità.

Per tornare dunque alla verità ed al metodo, considero per me fondamentale questo percorso di conoscenza, in un'analisi precisa e particolare del concetto di anarchia, piena libertà individuale nel rispetto della libertà collettiva, e del concetto di conoscenze Psiconeurosocioantropologiche, usare un termine composto a richiamo della filosofia di Edgar Morin, in questo mi ritrovo a considerare lo studio dell'ipnosi costruttivista, la mia sintesi di questa 

E inevitabile essere dei religiosi, sostanzialmente persone che creano legami tra le cose, e degli uomini di spirito, è inevitabile seguire valori, credenze, convinzioni, è inevitabile andare oltre a ciò che materialmente conosciuto, passando attraverso il mondo delle idee, generare un campo oltre al mondo materiale.

Ecco forse la vera ragione per cui, dal mio punto di vista, verità e metodo si trasformano semplicemente in una ricerca continua, inesauribile, forse irraggiungibile, di una via, un metodo, che sia vero, e qui il paradosso, la vita come un cammino verso una verità che non è altro che l'idea di un cammino vero. Non per nulla si parla del piacere del viaggio, non dell'arrivo, non si può sapere dove si arriva, il paradosso è per noi l'arrivo come la morte, la fine di un cammino, ma non potendo sapere qual è la meta finale, sempre che di meta si possa parlare, ci si può almeno godere il viaggio.

Dunque la distinzione tra religione e spiritualità mi ha dato modo di comprendere come il conoscere l'Ipnosi Costruttivista sia stato per me il costruire un percorso, un metodo, che fosse sufficientemente utile, funzionale, esportabile, che potesse aiutare le persone a stare bene nella loro vita, e se anche quest'intento può risultare un po' riduttivo, o banale, se non voglio provare la sensazione di essere manipolato, o di manipolare, e quindi giudicare ed interpretare di conseguanza, devo rimanere su un traguardo minimale vivere per star bene e far star bene.

Da queste mie considerazioni forse ora vi risulta chiaro che la mia scelta è finita con l'essere quella di cercare strade di libertà, (vedi Anarchia erudita), dove la conoscenza è Metodo, una via, un cammino, e la Verità è tutto ciò che finisce, come la vita stessa, dando così spazio ad altre persone che daranno vita ad un nuovo Metodo che chiameranno a loro volta Verità.