Cerca nel blog

martedì, gennaio 21, 2014

La coscienza come abitudine. Marco Chisotti.



La coscienza come abitudine. Marco Chisotti.

Ave! Formula latina di saluto e di augurio, usata a volte tra religiosi o aggiungerei tra counsellor).

Vi sarà capitato di accorgervi quanto sia più semplice ripetere un esperienza acquisita da tempo piuttosto che cambiarne l'organizzazione, pensiamo alla strada che facciamo per tornare da casa, ci son dei percorsi che abbiamo memorizzato e che semplicemente ci vengono automatici, la comodità sta nel fatto che posso permettermi di pensar ad altro che la strada la percorro automaticamente, di solito diciamo d'essere sopra pensiero mentre guidiamo la macchina o camminiamo.
Non so voi ma io mi stupisco sempre di questi straordinari sistemi di condotta che sono automatici proprio perchè fuori dalla consapevolezza ordinaria, mi piace pensare che una parte di me, ciò che chiamo inconscio, si interessi di guidare, camminare, al posto mio, portandomi a destinazione senza disturbarmi.
Nella vita quotidiana abbiamo molti momenti in cui riusciamo a far contemporaneamente più cose, per me è sempre stata una necessità far più cose alla volta, il rischio era la distrazione, se il "compito" non è sufficientemente complesso la mia mente si prende la libertà di pensar ad altro distogliendomi concentrazione, nello studiare questo vizio è sempre stato un problema per me perché il mio inconscio si prende la libertà di considerare ed impegnarsi solo verso argomenti che ritiene interessanti.
La lettura ad esempio è per me una grande fonte di distrazione, difficilmente risulta scorrevole, il più delle volte è lenta e travagliata, quasi avessi più parti di me che concorressero, in maniera separata, a raggiungere un risultato, ed a pensarci bene è poi così che funziona, ci sono più azioni che alla fine creano un comportamento che ci da il risultato atteso, spesso noi abbiamo il risultato finale e tutto il resto è andato per proprio conto.
Mi son chiesto se queste cose, gli automatismi, sono possibili anche per compiti più complessi e della giuda di un automobile o del camminare, la particolarità delle abitudini è che son frutto di esperienze ripetute nel tempo fino al raggiungimento di una prassi molto precisa, se si osserva una persona che svolge un operazione in automatico, come ad esempio un lavoro artigianale, si può notare con facilità quanto tutto quanto sia sviluppato con semplicità, rapidità, precisione, e se si osserva bene, con eleganza.
Il principio di economia, minimo sforzo massimo rendimento è rispettato alla perfezione dietro ad ogni abitudine consolidata nel tempo, assieme è facile notare l'eleganza con cui si porta avanti l'esperienza, un eleganza dettata proprio dal principio di economia unito a tanti altri aspetti, meno evidenti, tesi al risultato finale.
È straordinaria dunque l'acquisizione di comportamenti automatici che vengono appresi ed automatizzati, fino a creare vere e proprie competenze complesse che sono sviluppate automaticamente, ma è possibile pensare che esistono delle esperienze ancora più complesse che noi tutti facciamo al pari delle competenze frutto ci azioni e comportamenti?
La risposta è si! Esistono esperienze complesse di cui noi non possediamo consapevolezza e che però sviluppiamo costantemente ogni giorno, son arrivato a pensare che la coscienza sia una di queste esperienze, ma cerchiamo di analizzare le azioni, i comportamenti e le competenze che son comprese nel processo della coscienza, mi aiuterò coll'affrontare le variazioni ad un'abitudine ed il loro impatto sulla nostra consapevolezza in modo da mettere in evidenza ciò che facciamo dietro l'esperienza della coscienza senza renderci conto.
Intanto è bene considerare che la memoria degli eventi è favorita da quegli elementi straordinari e non da gli elementi ordinari, l'attenzione a ciò che si fa aumenta quando si incontrano variabili inconsuete, tutto ciò che è compreso nell'ovvio non alza il nostro livello di attenzione, anzi ne abbassa il livello.
Credo che la coscienza sia un abitudine, come tante complesse esperienze che svolgiamo con semplicità ma che all'origine hanno richiesto un lungo periodo di "allenamento", forse la coscienza è l'esperienza più complessa che svolgiamo, in cima alla lista delle nostre competenze, credo sia alla base ed all'altezza di tutto il nostro vivere, un vero e proprio contenitore di tutto il nostro sapere, fare ed essere contemporaneamente.
Mi son sempre incuriosito dei processi complessi, ho come una piacevole sensazione nel perdermi nell'infinito spazio del comprensibile, son convinto sostenitore del principio costruttivista che sostiene: "La realtà è un invenzione, una costruzione della notra mente, non una scoperta!".
Ad intenderci credo si possa sostenere che noi scopriamo quello che il nostro "inconscio" costruisce per noi, per cui la coscienza possiede la scoperta che a sua volta è posseduta dalla costruzione del nostro inconscio, il quale a sua volta abbia a che fare con il "caso" e la complessità, trasformando per noi qualcosa di complesso e casuale in qualcosa di sufficientemente semplice da esser declinato in un processo finalizzato che è la vita.
Mi sto accorgendo che la "cosa" si sta facendo complessa e dunque aumenta per me, ma credo per tutti, il processo confusivo, la complessità sento che sta sulla sponda del sacro, di ciò che non si può nominare, la coscienza è sacra per quanto è complessa, noi possiamo viverne gli effetti ma ci è precluso raggiungerne l'origine, violeremmo il secondo principio della cibernetica, Heinz von Foerster e Margaret Mead introducono l'idea che l'osservatore non può mantenere una posizione esterna e neutrale rispetto al sistema osservato, nel nostro caso la persona che osserva se stessa, non può sviluppare una coscienza di se che comprenda la coscienza della coscienza di se, ma entra a far parte del processo e delle operazioni soggettive del conoscere che faranno emergere quella realtà e non un'altra, la persona entra in quell'abitudine che gli fa emergere l'idea che si è costruita negli anni di se che chiamiamo coscienza.
Se pensiamo alla coscienza, o semplicemente ad un processo di consapevolezza, dobbiamo considerare il concetto di causalità circolare, un concetto che è stato considerato da Luhmann, Pardi, Lanzara, Atlan , Lovelock, Morin, Pepe, scienziati del pensare che hanno sostenuto la rivalutazione del concetto di causalità come una delle basi della complessità stessa. 
Descrivere il funzionamento dei sistemi in funzione di anelli di retroazione introduce una prospettiva che supera la causalità lineare alla quale tradizionalmente si usa ricondurre i fenomeni che osserviamo ed in cui tendiamo a mettere la stessa coscienza.
La causalità lineare vuole che, ad esempio, A sia la causa di B; a sua volta, B potrebbe causare C che determina D. Ma se a questo punto immaginiamo D come un’informazione che retroagisce su A, abbiamo un’idea di cosa sia la causalità circolare, la coscienza risponde a queste regole complesse, ed i passaggi intermedi sono molti e molti di più di quelli comprensibili, memorizzabili e dunque "coscientizzabili".
La causalità, grazie alla cibernetica ed ai circuiti di feedback, non è più vista come lineare ma come ricorsiva, circolare, autoreferente. Le conseguenze di questo ragionamento divengono sostanzialmente due. La prima è la difficoltà di fare una distinzione tra causa ed effetto in una situazione in cui il prodotto di una causa ritorna circolarmente sulla causa stessa. In un processo di coscienza una causa può essere al tempo stesso il prodotto del suo effetto; l'elemento "causante" la coscienza può essere al tempo stesso ciò che viene causato, la coscienza stessa, generando un paradosso, ricordate Groucho Marx quando afferma: "Non vorrei mai fare parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me".
La seconda difficoltà nel comprendere un fenomeno di coscienza riguarda la possibilità che in un sistema molto articolato e complesso, come è la mente umana, una causa può produrre effetti diversi (multifinalità) ed uno stesso effetto può essere prodotto da cause diverse (equifinalità).
Credo sia sufficiente per comprendere il ginepraio in cui ci si mette quando si sconfina l'ovvio, l'abitudine di dar per scontato che esiste qualcosa che è la coscienza, ma a rende più complessa ed interessante la "coscienza" e le sue abitudini ci pensa Gregory Bateson, ricordo che lessi la sua opera quando iniziai ad interessarmi di sacro e coscienza,

Nella concezione costruttivista di Gregory Bateson, la conoscenza è un processo che prende forma attraverso la relazione di più parti coinvolte. La relazione, per Bateson, viene prima di qualsiasi altro atto possibile, prima della conoscenza e della coscienza stessa, la relazione rende la coscienza una non abitudine. 
Infatti prima ancora di relazionarsi, gli esseri viventi esistono, proprio per il fatto di essere in relazione nella danza creatrice, non si può esistere come entità senza che ve ne sia un'altra in relazione. Conoscere e conoscersi significa relazionarsi con un oggetto/evento/soggetto: A e B non potrebbero esistere se non in funzione della relazione che li connette. Prima ci sono le relazioni, mentre i loro termini (le cose) sono secondari, sebbene nelle nostre abitudini di pensiero la gerarchia sia spesso rovesciata, pensiamo che esista una realtà a prescindere dalla relazione cognitiva con essa. 
L'attenzione di Bateson si sposta dal contenuto alla forma, da quello che avviene nel contesto al contesto, dai fenomeni che sono in relazione alla relazione stessa. Al posto di un mondo popolato da “io” isolati e ben definiti, coscienti e consapevoli, egli annuncia comunità circolari e comunicanti di soggetti che esistono in quanto sono, per definizione, in relazione con altri soggetti. 
Il “cogito ergo sum” di Cartesio viene sostituito dal “penso dunque siamo” che suggerisce Heinz von Foerster, dove la formulazione di ogni pensiero, pur appartenendo al singolo individuo, deriva dall'interazione con un meccanismo mentale di più grande respiro, al di fuori di un abitudine soggettiva, incrociandosi con abitudini collettive, il cui risultato sfocia nella complessità del sacro, la relazione la puoi solo vivere, non la puoi contenere in una coscienza soggettiva.
Bateson prende le distanze da Sigmund Freud che apriva la mente verso il mondo interno riportando tutti i processi all'interno del corpo, lui estende la mente e dunque la coscienza al mondo esterno, le cose e dunque la realtà sono guardate con la trama con cui son fatti i sogni ed il mondo delle idee, ma fatte attraverso le azioni, i comportamenti, le competenze acquisite e rese abitudini, in stati mentali, la cui memoria dipendente ci apre una porta alla volta, facendoci prendere coscienza, nel qui ed ora, di una piccola porzione del possibile, rendendo la nostra coscienza, nello scorrere del tempo, una grande abitudine a trattare piccole abitudini di vita.


lunedì, gennaio 06, 2014

Essere, sapere e ..... Tutto il resto. Marco Chisotti

Essere, sapere e ..... tutto il resto. Marco Chisotti.

“La vita non è come dovrebbe essere. E’ quella che è. E’ il modo in cui l’affronti che fa la differenza.” Virginia Satir. 

Sarebbe bello metter a frutto tutto ciò che leggi, segui, incontri, sarebbe bello apprendere ed imparare dalle esperienze senza esitare, purtroppo bisogna vincere la propria "conoscenza" la propria "coerenza" interna, il proprio linguaggio che apparentemente descrive il reale, in realtà lo costruiscono in ogni sua parte.

Ci sono die atteggiamenti molto importanti da tenere presenti - mettere in discussione ed essere umili - sono due delle più importanti caratteristiche del costruttivismo che dice

[a] Non c’è una Unica soluzione finale o conclusione che possa essere tratta nell’esperienza umana [Ogni cosa può essere messa in discussione, sempre], e
[b] Non c’è una persona che può sapere tutto [quindi nessuno può comportarsi con arroganza anziché essere umile di fronte alla sua ignoranza]
Da quando mi son circondato di perchè, da piccolo mi chiamavano il
bambino dei perchè ho sempre cercato di controllare l'idea che la conoscenza possa essere di tutto, rimane una parte, una grande parte, di inconscio, un mistero che ci permette d'esser umili da un lato, anche solo comprendendo il potere delle nostre intuizioni, che derivano da una dimensione non consapevole della nostra mente, e un mistero ci permette di metter in dubbio e vivere il dubbio del conoscere, attraverso la nostra cognizione, nell'espressione della nostra mente che chiamiamo intelligenza cognitiva.

"L’uomo deve spingere contro i limiti del linguaggio. Pensate ad esempio alla meraviglia che qualcosa esista. Questa meraviglia non può essere espressa sotto forma di domanda e ad essa non c’è risposta. Qualsiasi cosa diciamo deve essere, a priori, una sciocchezza. Nonostante ciò noi spingiamo contro i limiti del linguaggio. Anche Kierkegaard ha riconosciuto questa spinta e l’ha anche descritta quasi nello stesso modo [come una spinta contro il paradosso]. Questa spinta contro i limiti del linguaggio è l’etica. Considero molto importante mettere fine a tutte le chiacchiere riguardanti l’etica - sia che ci sia una conoscenza nell’etica, che ci siano dei valori, sia che il Buono possa essere definito, ecc. nell’etica si cerca costantemente di dire qualcosa che non tratti e non possa mai trattare l’essenza della materia. È certo a priori che, qualsiasi definizione si possa dare del Buono, è sempre un malinteso supporre che la formulazione corrisponde a ciò che si intende veramente, [Moore]. Ma la tendenza, la spinta, indica qualcosa." Wittgenstein.

Noi viviamo in un dominio linguistico, la conoscenza ci obbliga mantenendoci legati ad una realtà che dobbiamo conoscere per poterci muovere in essa, non possiamo avere incertezze, dobbiamo vivere il senso compiuto di una percezione precisa di noi stessi, la sicurezza si basa proprio su questi presupposti irrinunciabili, per questo dobbiamo mantenerci critici verso ogni cosa, vivere nel dubbio per poterci confrontare con la nostra vita.

Voglio riprendere la preghiera del costruttivista di G. A. Kelly perché mi sembra molto utile a mantenerci allenati a prenderci meno sul serio.

Essere nessUno Sapere Qualcosa e Ogni cosa

nessUno può sapere tutto
nessUna versione dei fatti può essere completa
nessUna realizzazione della realtà può essere la versione finale del divenire umani

Qualsiasi conoscenza attuale nel futuro diventerà irrilevante
Qualsiasi cosa ora utile diventerà ridondante
Qualsiasi cosa che ora sembra definitiva si rivelerà essere incompleta

E

Ogni cosa di cui veniamo a conoscenza non potrà mai esaurire il dominio dell’ignoto
Ogni cosa che pensiamo di sapere serve solo ad oscurare la nostra ignoranza
Ogni cosa che scegliamo di credere necessariamente nega realtà alternative

Credo esista una "cura" al limite dell'uomo che non può percepire oltre a ciò che conosce, ma può stupirsi, credo sia la dimensione del Sacro, di ciò che che è l'azione del vivere senza spiegazione, senza significato, quando siamo in grado di vivere spontaneamente la meraviglia di essere - al - mondo, scoprendo le connessioni emozionanti tra noi stessi e tutto il mondo intorno, ma questa capacità è rimasta pressoché nei bambini, pochi adulti la vivono ancora. 
Ognuno di noi aveva questa capacità di vivere nel Sacro prima che il linguaggio ci trasformò in umani - con - intenzionalità, la vita non ha uno scopo, ne un fine, siamo noi a darle intenzione, fine e scopo coi nostri meccanismi causali. 
Dopodiché siamo diventati ciechi all’opera del Sacro dentro il nostro essere. Se siamo fortunati, manteniamo la capacità di essere occasionalmente meravigliati e stupiti, dall’intero sistema in cui il nostro vivere è incastonato nel quotidiano abitudinario vivere.


giovedì, gennaio 02, 2014

Il cambiamento nulla di più che un tornado. Marco Chisotti

Il cambiamento: nulla più che un tornado. Marco Chisotti

"Tutto ciò che viene detto é detto da un osservatore ad un'altro osservatore, che potrebbe anche essere se stesso."
Humberto Maturana.

Così nasce l'era della narrazione, la scienza, sostenuta dalla tecnica, sua diretta applicazione, si è messa a narrarci la nostra storia, ma lei, che siamo noi, come può parlare di noi che siamo lei?
Siamo dentro un paradosso e dobbiamo convivere con questo limite, dobbiamo tornare all'esperienza e considerare quella come base, non è l'atomo che fa la cellula, ne la cellula fa il cervello, ne il cervello fa l'intelligenza, ne l'intelligenza fa la coscienza.
Edgar Morin sottolineò molto bene che la somma delle parti di un sistema è più o meno del lavoro delle singole parti, quando si lavora in sincronia e sinergia la somma totale è più della somma delle singole parti, altrimenti può esser meno del lavoro delle singole parti quando non c'è un utile organizzazione, o meglio autorganizzazione delle parti, questa è una cosa semplice da constatare in qualunque esperienza di gruppo che vi venga in mente. Ciò che è sotteso in questo concetto è che la somma è qualcosa di diverso, qualcosa che nasce proprio dal fatto che le parti si trovano a lavorare assieme, è il fenomeno dell'"emergenza" che desidero mettere in luce.
Varela, (2001) prima di lasciarci prematuramente, porta l’esempio del tornado per descrivere il fenomeno dell’emergenza e il suo rapporto con l’auto organizzazione. All’inizio in circolazione nell’atmosfera ci sono innumerevoli particelle di aria e acqua (questo è un normale fenomeno locale). Le fluttuazioni casuali cioè il movimento non ordinato, disordinato, delle particelle, possono condurre, non sempre o necessariamente, ad un "ordine per fluttuazione" (Prigogine,Stengers) che chiamiamo autorganizzazione appunto. Nel meccanismo dell’autorganizzazione, secondo Prigogine, caos e necessità giocano lo stesso ruolo la cui caratteristica è appunto quello che sembra un ossimoro: un’ordine caotico, in un originale contrasto.
Se prendessimo un mazzo di carte le mischiassimo, e le trovassimo tutte in un preciso ordine di scala decrescente dalla prima all'ultima ci stupiremmo immensamente, dimenticando che quel preciso ordine che noi vediamo è un ordine n'è più ne meno di una qualunque altra combinazione possibile, è il nostro modello di ordine ed aspettativa che genera in noi la straordinaria sorpresa.
Attraverso l’autorganizzazione, delle gocce e dell'aria, emerge dall’oceano delle fluttuazioni una nuova struttura, un fenomeno globale - il tornado- con una diversa identità e diverse proprietà un diverso ordine: le gocce di aria e acqua non sfondano case. Il tornado non ha un esistenza sostanziale materiale ma esiste unicamente come pattern relazionale. Ugualmente agli atomi di sale che buttiamo nell’acqua della pasta che dissolta la loro struttura (si sciolgono) perdono la loro proprietà emergente di cristallo. La struttura cristallina del sale è qualcosa di non riducibile agli atomi che la compongono, così come le proprietà della coscienza non sono riconducibili ai suoi correlati neuronali. L’approccio riduzionista spiega il tornado come formato e dipendente dalle particelle di aria-acqua o in un ottica di dualismo moderato come epifenomeno delle stesse. Contro questi approcci Varela porta l’evidenza della causalità discendente: le proprietà globali retroagiscono su quelle locali. Lo slogan usato dall’autore è: " la mente non è nella testa" ma si trova nel "non-luogo della co-determinazione di interno ed esterno" (Varela,2000).
Quando ci interessiamo di relazioni d'aiuto entriamo in contatto con un idea complessa, l'aiuto è l'emergenza di più fattori che si intrecciano e che danno un risultato data da una relazione dove le proprietà globali, la relazione d'aiuto, retroagiscono su quelle locali, gli stati mentali, " la mente non è nella testa" come l'aiuto non è nel counsellor ma si trova nel non-luogo della co-determinazione di interno ed esterno, nella relazione, è li che avvengono i cambiamenti, è li che si crea la differenza e si sviluppa il potenziale, il risultato è garantito, alla perturbazione il sistema reagisce ciò che non è garantito è il risultato desiderato, quello è sperato ma spesso ci vogliono molte esperienze per avere un cambiamento.

“Quando guardi un sistema vivente trovi sempre una rete di processi o di molecole che reagiscono tra di loro in tale modo da produrre la rete che li ha prodotti e che determina il proprio confine: tale rete la chiamo autopoietica. Ogni volta che incontri una rete le cui operazioni producano se stessa come risultato, sei di fronte a un sistema autopoietico. Produce se stesso. Il sistema è aperto all’ingresso di materia, nutrienti, energia dall’esterno, ma è chiuso rispetto alla dinamica delle reazioni che lo generano” 
Humberto Maturana.

Ogni individuo è un sistema autopoietico al suo interno avvengono i cambiamenti possibili rispetto al suo mondo possibile, difficile immaginarlo ma l'ordine del mondo interno non è riducibile alla percezione dell'ordine osservato dall'esterno, è vero che l'individuo dà le risposte che ci servono ma solo attraverso la relazione emerge un nuovo ordine, ma nella relazione non è la semplice somma di due o più parti che ci interessa, sappiamo chi sono gli individui nella relazione, non sappiamo il risultato che otterremo perché è un risultato di "emergenza" quello che si produce e che va a cambiare i singoli elementi di partenza creando in loro un cambiamento utile.
Il risultato che otteniamo è vero per quanto ci ha lasciati diversi, è vera la fenomenologia che possiamo osservare o vivere, il mistero rimane e la verità è rimandata, in una frase di un romanzo di Satprem è riassunto molto bene il sentimento che mi sembra abbia guidato Francisco Varela lungo la sua vita di scienziato: "Una verità che non sia tutto non può essere tutta la verità", così procedo a veder un pezzo alla volta di ogni stato mentale, per individuarne i passi più significativi alla ricerca di quell'ordine di esperienze che ci fa sentir ben, che ci fa sentir meglio, che fa sentir meglio chi incontriamo e desidera esser da noi aiutato a cambiare, risolvere, affrontare, superare, alle volte capire, ma sicuramente che desidera condividere con noi.