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venerdì, novembre 24, 2006

LA PSICOLOGIA DEL FARE: COME ORIENTARSI NELLA MAGIA TERAPEUTICA

di Marco Chisotti, Antonello Musso, Paola Sacchettino

Dalla psicologia teorica studiata all’università, passare alla magia terapeutica (esperienza clinica) vuol dire imparare a palare il linguaggio del paziente, il linguaggio delle emozioni, cioè il linguaggio del quotidiano; vuol dire affrontare i problemi reali, sopportare litigi, dipanare le matasse che si creano attraverso percorsi a “senso unico” come il non capirsi, l’essere stanchi e provati, avere il desiderio di cambiare qualcosa, senza sapere che cosa, vivere gli alti e bassi della routine.
Insomma condividere il fardello della parte, in quel momento, più fragile della persona.
In questi momenti le teorie e le cognizioni accademiche sono più di impiccio che di aiuto, perdono del loro significato: ciò che più conta è coinvolgersi nel vissuto della persona, più che porsi domande e darsi risposte. Magari piangere, rattristarsi per l’evento, né più né meno di come può fare un buon amico.
Solo così si guadagna la stima e la fiducia di chi mette tra le nostre mani la propria vita.
Questo discorso sembra semplicistico, soprattutto alla luce delle teorie che nel corso dei millenni si sono sprecate intorno alla cognizione di persona, ma occorre non dimenticare che questa, nella sua essenza, è molto meno complicata di come possa apparire.
La vita, in fondo, ruota intorno a cinque punti fondamentali, semplici e chiari, nei quali troviamo un po’ tutti gli aspetti dell’esistenza della maggior parte delle persone che crescono in armonia e in equilibrio: l’infanzia (bambino), momento in cui siamo tutto corpo ed emozioni, spensieratezza, fantasia e creatività.
In questa fase inizia a svilupparsi il potenziale di cui è dotato l’essere umano, fino a prepararsi all’adolescenza, con lo sviluppo del pensiero astratto, del dialogo, della socializzazione, della distinzione tra sé e gli altri. In questo momento è fondamentale per la persona guadagnarsi con l’intelligenza il passaggio alla vita adulta, vita responsabile che richiede impegno.
A queste difficoltà di adattamento si aggiunge la fatica che il ruolo di adulti comporta, sia che ci si impegni verso i propri figli, sia che ci si occupi di se stessi, nella dimensione di genitore affettivo, sia nella dimensione di genitore normativo, che si prende e dà impegni e responsabilità in prima persona.
A queste esperienze fa seguito il ruolo occupato nella società, nel proprio lavoro, nella propria professione.
Al di fuori della psicopatologia vera e propria, la maggior parte dei problemi nasce dallo sforzo che richiede l’adattamento alla vita sociale, al mondo del lavoro, allo sviluppo di un ruolo professionale, alla soddisfazione e gratificazione per il proprio impegno, alla difficoltà a trovare tempo per sé, vivendo la vita in una dimensione di pesantezza e rassegnazione.
E’ in questo scenario che il counsellor (persona che si occupa di relazione d’aiuto), trova il suo spazio operativo, tenendosi lontano dalle diagnosi e dai perché. Il suo compito è quello di tirare fuori le risorse della persona, di aiutare a tracciare una nuova via, a ritornare un po’ giovani nella mente, se non è possibile farlo con il corpo, in una dimensione di leggerezza e di autoironia, per guardare nuovamente alla vita, come con gli occhi di un bambino.
Il punto forte dell’ipnosi sta nella storia dell’umanità, da sempre, è nata molto prima dell’analisi e delle deduzioni logiche, ma non per questo si è fermata ad uno stadio primordiale dell’esistenza umana, era ed è tutt’oggi un contenuto di sostanza che molto bene si sposa con la semplicità e la funzionalità dell’individuo.
L’ipnosi naturalistica, che tutti quanti vivono ogni novanta minuti circa, è un’esperienza che i ritmi ultradiani ci impongono; il cervello rallenta la sua attività, abbassandoci la critica (conoscenza) e portandoci verso un mondo indifferenziato della curiosità, della creatività, della fantasia, un mondo cioè in cui l’intuizione ci guida evitandoci le trappole del pensiero complesso e strutturato: ci porta ad agire e ci dà nuove opportunità di scelta.
L’ipnosi terapia riproduce questi momenti fisiologici e come in un sonno ci guida in un sogno dove torniamo ad essere protagonisti rincuorati e soddisfatti della nostra vita.
A questo punto si potrebbe obiettare che la realtà ci fa fare dei “conti” diversi, ma qui sta l’intuizione del pensiero costruttivista, animato da uomini che hanno saputo guardare la vita con occhi da bambini, hanno saputo intuire quanto il nostro cervello fosse un vero e proprio emulatore della realtà, trovandoci veri e propri costruttori della realtà condivisa.
E come tu hai già capito, sei protagonista di questo disegno; tu, il tuo inconscio, il tuo spirito guida, sono solidali con esso, lo comprendono perché lo vivono e ne fanno parte.
Il terapeuta che c’è in te comprende il disegno del counsellor che ti abbiamo proposto e lo fa suo.

giovedì, ottobre 05, 2006

TERAPIA FOCALIZZATA SULLE RISORSE
VS TERAPIA EPISODICO – ESPERIENZIALE

di Marco Chisotti, Ennio Martignago, Antonello Musso e Paola Sacchettino

R.F.T. (Resource Focused Therapy) è il termine coniugato da Keeney per definire uno stile terapeutico dove l'attenzione viene costantemente orientata alla ricerca delle risorse del cliente. Al pari della terapia episodica sottolinea l'attenzione che va riposta nel considerare ogni incontro come un'esperienza a sé un momento dove attraverso la relazione avvengono dei cambiamenti strutturali in ognuno, terapeuta e cliente. Alle volte i cambiamenti strutturali divengono cambiamenti organizzativi, cambiamenti che interessano l'organizzazione mentale stessa della persona. Ciò che più conta è portare il cliente verso le proprie risorse, quindi lasciarlo continuare nella sua narrazione fino a che non tende ad uscire dalle proprie risorse, a quel punto si interviene nuovamente per riportarlo sulle risorse. Questo atteggiamento terapeutico permette di focalizzarsi sulle possibilità che notoriamente sono svanite in chi denuncia un problema o avverte delle difficoltà. Permette inoltre di affrontare e risolvere un tema alla volta, il rischio che si corre spesso in terapia è proprio quello di correre dietro a mille rivoli narrativi senza riuscire a risolvere nulla, bensì entrando nella complessità ingestibile del tutto indifferenziato in cui si trova la persona. Oltremodo l'attenzione alle risorse ed alle esperienze aiuta a non cedere alle lusinghe fuorvianti che si ottengono nel dar spazio a diagnosi ed aspettative terapeutiche che tendono a generare, a loro volta, comportamenti lusinghieri da parte del cliente rispetto alle attese del terapeuta, a sua volta orientato dalle sue teorie e conoscenze nei confronti del cliente. Non la ricerca di patologie, ma lo sviluppo di risorse.
Ecco dunque nascere un percorso terapeutico che genera spiegazioni solo attraverso sequenze di azioni suggerite ed adottate dal cliente durante la terapia. Ecco in sintesi il percorso, nei punti, suggerito dal mio approccio alla terapia esperienziale, riportato da Keeney nel suo libro “Terapia focalizzata sulle risorse”.
Il terapeuta deve raccogliere il minor numero di informazioni dal paziente o quelle ritenute essenziali, per evitare un aumento della complessità e perché ogni paziente ha una riserva infinita di contraddizioni, cambiamenti continui, credenze nelle quali sarebbe facile perdersi, inutilmente.
Utilizzare la minima quantità di tempo nel raccogliere informazioni, focalizzando ogni singola seduta sulle sue risorse disponibili, mantenendo la sua attenzione sul momento emotivo/esperienziale che sta vivendo “qui ed ora”.
Al contempo va utilizzata la minor quantità possibile di teoria in quanto il terapeuta non deve arroccarsi dietro la stessa, quanto deve fidarsi di se stesso e delle sue tecniche. Le teorie servono per esercitarsi, ma ciò che conta durante la terapia è il coinvolgimento di se stesso come terapeuta nella relazione con il cliente, all’interno della seduta.
Inoltre il terapeuta deve fare il minimo, ascoltando il cliente fino a che rimane nel contesto delle sue risorse, interrompendolo solo nel momento in cui tende a vittimizzarsi, allontanandosi dalle sue qualità positive, per riportarlo sulle sue risorse e dandogli il giusto equilibrio.
E’ bene che il terapeuta rimanga “quieto” e, soprattutto, niente psicologia, che porterebbe fuori dal campo delle risorse per cadere nuovamente nella logica delle teorizzazioni, ovvero occuparsi di condotte vuote di senso.
Niente sociologia, niente ideologia, ma improvvisazione perché il paziente è una teoria a sé.
E’ possibile avere un’inversione del senso comune attraverso un comportamento esplorativo dove la curiosità del terapeuta è fondamentale.
Viene ribaltato il senso comune: non si deve partire da un significato per descrivere le singole azioni, bensì utilizzare le singole azioni per giungere ad un significato.
La vita non è altro che l’emergere delle nostre singole azioni ed esperienze, dunque “agire per vedere e non vedere per agire”.
In una visione sistemica contestuale che tale approccio suggerisce, ci si deve basare totalmente sul vissuto del cliente e di tutte le persone che interagiscono con lui a creare quella rete di relazioni, che mantengono lo status quo, sia solutivo, che problematico.
Ad es. se il panico del terapeuta è reattivo al dubbio che un cliente manifesta relativamente al suicidio, egli contribuisce potenzialmente a rinforzare la credenza del cliente nella realtà del suicidio stesso.
Nella terapia non esiste un narratore ufficiale, che implicherebbe dei ruoli prestabiliti terapeuta/paziente, con tutte le aspettative e i limiti che detti ruoli portano con sé, ma una relazione circolare, come già nell’ipnosi il guidare e l’essere essere guidati.
Il flusso delle spiegazioni va bloccato e si deve lavorare sul “non sense”, per aiutare il cliente a costruire nuove strade con cui dare un senso alla propria vita.
Partendo dal presupposto che un fatto non è come è, ma come lo descrivi, aiutare un cliente vuol dire ridisegnare con lui (in corresponsabilità), una nuova mappa di sé e della sua realtà.
Sono le domande non banali, domande che non hanno ancora una risposta e le reazioni del cliente a queste domande che devono incuriosire il terapeuta; la terapia va vissuta più come teatro, in cui allenare il cliente al personaggio desiderato. Maggiore è il coinvolgimento terapeuta/paziente che si riesce ad ottenere, maggiore è l’indice che ci si trova in un contesto di risorse, dove il comportamento assurdo che rompe gli schemi è legittimo e la sperimentazione è benvenuta.


(versione inglese)

THERAPY FOCUSED ON RESOURCES VS EPISODIC-EXPERIENTIAL THERAPY

Written by Marco Chisotti, Ennio Martinago, Antonello Musso and Paola Sacchettino

RFT (Resource Focused Therapy) is the term conjugated from Keeney in order to define a therapeutic style where the attention is constantly oriented to the search of resources of the customer. As the episodic therapy, it emphasizes the attention on every encounter like an experience apart, a moment in which trough the relation happen structural changes in everyone, therapist and customer. Structural changes sometimes become organizational changes, changes interesting the mental organization of the person. The most important thing is carrying the customer towards his own resources, then leaving him continue in his narration until he does not incline to exit from his own resources, so you can bring him back again on his resources. This therapeutic attitude allows to focus on the possibilities that usually vanish in who denounce a problem or perceives difficulties. It moreover allows to face and to resolve a topic at a time; the risk that is often run in therapy is running behind thousand narrations without solving anything, but entering the unmanageable complexity of the undifferentiation where the person finds herself. Otherwise the attention to resources and experiences helps not to yield to misleading flatteries you obtain in giving space to diagnoses and therapeutic expectations that incline to generate, in their turn, flattering behaviours for the customer’s part about the waits of the therapist, in his turn oriented by his theories and knowledge towards the customer. Don’t search for pathologies, but for development of resources.
This way is born a therapeutic distance that gives explanations only through sequences of actions suggested and adopted by the customer during the therapy. Here in synthesis the distance, in points, suggested by my approach to the experiential therapy, brought back by Keeney in his book “Therapy focused on the resources”.
The therapist must collect the less number of information from the patient or only the essential ones, in order to avoid an increase of complexity and because every patient has an endless reserve of contradictions, continuous changes, believes in which it would be easy to get lost, uselessly.
Use the minimal amount of time in collecting informations, focusing every single sitting on his available resources, keeping his attention on the emotional/experiential moment he is living “her and now”.
At the same time, you should use the less amount of theory because the therapist does not have to retreat behind it, but he must trust himself and his techniques. Theories are useful to practice, but what is more important during the therapy is the involvement of himself as therapist in relation with the customer.
Moreover the therapist must do the minimum: listening to the customer until he remains in the context of his resources, interrupting him only when he inclines to victimize, going away from his positive qualities, in order to bring back on his resources and giving him the right equilibrium.
Is good that the therapist remains “quiet” and, above all, no psychology that would carry outside of the field of resources to fall again in logic of theorizations, in other words involving in senseless behaviours.
No sociology, no ideology, but improvisation because the patient is a theory apart.
It’s possible to have a turn of common sense through an exploratory behaviour where the curiosity of the therapist is essential.
Common sense is overturned: you don’t have to start from a meaning to describe single actions, but to use the single actions to reach the meaning.
Life is emerging out of our single actions and experiences, therefore “acting in order to see and not seeing in order to act”.
In the global vision that such approach suggests, you must be totally based on the lived of the customer and of all the people who interact with him to create the net of relations that maintain the status quo, both resolutive and problematic.
For example, if the panic of the therapist is reactive to the doubt that a customer shows to the suicide, he potentially contributes to reinforce the belief of the customer in the reality of suicide.
In therapy there isn’t an official narrator, who would imply pre-established roles therapist/patient, with all expectations and limits that such roles carry with themselves, but one circular relation, like already in hypnosis leading and being led.
The flow of explanations is to be blocked and you must work on “non sense”, in order to help the customer to construct new ways with which give a sense to his own life.
Starting from requirement that a fact is not what it is, but like you describe it, helping a customer means redrawing a new map of himself and his reality.
Non banal questions, that still don’t have an answer, and reactions of the customer to these questions must make curious the therapist; therapy has to be lived more like theatre, in which training the customer to the wished character. Greater is the involvement therapist/patient you can obtain, greater is the index you find in a context of resources, where the absurd behaviour that breaks off the moulds is legitimate and the experimentation is welcome.

mercoledì, luglio 26, 2006

Io corro da solo

 

 


di Ennio Martignago

Il titolo di questo articolo parafrasa un noto film di Bertolucci che metteva in scena il rapporto dello scacco della gioventù e dell'impotenza malata della vecchiaia. Entrambe le età sono pervase da una falsa ritualità di comunanza e da una profonda condizione di solitudine. Lo stesso sta verificandosi nel modello di sviluppo del sistema capitalistico occidentale e quindi delle nostre aziende. Non c'é continuità fra le esperienze del passato e il rinnovamento. Come in un racconto di Borges, dove a un impero burocratico ed immorale, i cui cartografi nella loro presunzione erano arrivati a fare delle mappe grandi quanto il territorio stesso, succedette un dominio vandalico che bruciò assieme alle carte, i cui brandelli sono ancora trasportati tristemente dal vento del deserto, tutta la cultura dei predecessori, i nuovi manager con il loro pragmatismo sommario stanno buttando -come si suol dire- il bambino con l'acqua sporca.

Le aziende di ieri, quelle dei boiardi, oggi pensionati di extra-lusso (e magari anche azionisti), non possono certo essere additate come modello etico o di efficienza. Sicuramente clientelismi, raccomandazioni e diseconomie erano fenomeni all'ordine del giorno. Alcuni di questi sopravvivono ancora oggi e, mutatis mutandis, con altri nomi e forme sono destinati a crescere nel mondo di domani. Tuttavia quelle aziende avevano al proprio interno una cultura di scambio, una socialità e condivisione in genere felice. Il lavoro poteva essere discusso e le persone vivevano in un'ambiente amichevole che rappresentava l'altra faccia della famiglia. Come la scomparsa della dialettica dei blocchi nella politica internazionale ha snaturato entrambe le culture creando ambienti spuri, cosí l'esasperazione del concetto di lavoro come creazione di profitto per il profitto sta distruggendo la cultura del lavoro. Stiamo ereditando questo modello dagli Stati Uniti che vantano un'abbassamento radicale del tasso di disoccupazione, a detta di alcuni invidiabile per quasi tutta questa vecchia Europa. Questo risultato non é certo un miracolo: é bastato fare abbassare in maniera proporzionale il potere d'acquisto delle fasce medio basse, evitando di compromettere l'escalation del capitale di pochi. Negli USA il rapporto fra il piú povero e il piú ricco é passato in pochi anni da 1:13 a 1:250. Hanno reinventato la schiavitù, insomma. L'enfasi ossessiva sul profitto dell'azionista che predomina nella riorganizzazione delle imprese appartiene a questo tipo di cultura. In assenza di dialettica politica questa é l'unica logica possibile. Non si può fare altrimenti! Noi europei stiamo scoprendo che anche il mercato degli esuberi (sull'esempio del florido mercato delle scorie e del riciclaggio dei rifiuti) può essere un business che fa contenti i politici e soddisfa l'azionista. D'altronde le alternative, disoccupazione immediata, cassa integrazione..., sarebbero solo soluzioni peggiori. Anche la disoccupazione differita può essere ragione di interessi.

Ecco quindi le nuove imprese: la linea, esasperata da un carico di lavoro sempre piú pressante in condizioni di assenza di risorse e di margini di autonomia e di investimento, diventa sempre meno tollerante verso la tecnostruttura e le funzioni di servizio, accusate di non essere produttive e di fare chiacchiere e norme inutili mentre gli altri non hanno tempo di respirare. Le funzioni a loro volta, sempre piú povere di competenze e di potere di intervento diretto nelle scelte operative, vivono la separazione, l'impotenza e l'inutilità professionale come un'ingiustizia della nuova organizzazione.
Le nuove strutture aziendali, come quelle della nostra azienda da poco approvate dal governo, sono centrate esclusivamente sul core business, evitando il costo parassitario delle sovrastrutture. La linea delle organizzazioni preesistenti (come la nostra Distribuzione) guarda con invidia all'organizzazione dei nuovi. "Come sarebbe bello fare sparire tutti questi livelli di supervisione!", pensano, mentre si attardano a chiudere i lavori dopo una giornata passata senza neppure un momento di tranquillità per pensare. "Noi lavoriamo senza respiro, mentre gli altri speculano su di noi senza neppure conoscere i nostri problemi". "É vero", dicono gli altri, "ma dovrebbero trovarlo loro il tempo per pensare". E qualcuno si azzarda a dire che, se non possono farlo al lavoro, lo dovranno fare a casa. Una tale "arroganza" va punita e la Direzione o, come la chiamano oggi, la Holding li va ad accontentare, costringendo le Società o Divisioni a pagare care eredità sovrastrutturali come i servizi.
Mentre tutto ciò si verifica, da fuori dell'azienda operai extracomunitari che lavorano in ultra-subappalto guardano ai signori della linea interna e pensano: "Noi lavoriamo senza respiro e per pochi soldi a migliaia di chilometri dalle nostre famiglie, mentre gli altri hanno stipendi profumati e prendono premi per venire a speculare sul nostro operato". E la Direzione raccoglie tutto questo e spinge sull'outsourcing (stimolando magari anche gli interni a consociarsi per diventare partner esterni). Quelli che neppure riescono ad entrare in ultra-subappalto, poi, si vendono i reni e tacciono.
Tutto questo in onore dell'azionista (magari quello del nocciolo duro: i soliti noti). Cosí va il mondo! Anche della Direzione fra qualche anno, ad azionista soddisfatto, probabilmente nessuno si ricorderà piú.
Fintanto che questo non avverrà, proviamo a pensare a delle alternative. A delle funzioni efficienti, capaci di pensare e di dare soluzioni tecniche e di creare dialettica e comunicazione interna in grado di sviluppare una cultura del lavoro e dell'uso delle risorse e del tempo soprattutto per chi opera nella linea. Ad una linea che sia meno concentrata sull'operatività "stupida" dell'emergenza in modo da ricavare il tempo per pianificare l'attività e sviluppare la professionalità. Ad una Holding che bilanci il piú possibile gli interessi dell'azionista (che vuole arricchirsi) con quelli del paese (che vuole la garanzia di un'impresa elettrica forte) e della popolazione aziendale (che vuole lavorare in un ambiente sereno, pianificando lavoro, ruolo e professionalità in un futuro in cui esserci per proseguirlo e non solo per gli speculatori di borsa). Questo é possibile? Forse sí, se solo si investisse un po' meno sul breve termine e un po' di piú sul medio-lungo, se si mettesse l'efficacia fra i costi necessitati dell'efficienza. Se si comprendesse che solo il fatalista malavogliano non ha altra alternativa che obbedire per non affogare, anche se sa che, comunque vada, finirà annegato. Se tutti pensassero al mondo che lasciamo ai nostri figli, comprendendo che la solidarietà e la convivialità (come diceva Illich) sono condizioni irrinunciabili per la qualità della vita, non sostituibili da nessuna forma di ricchezza. Che la vita si trova sempre piú fuori dal pensiero dell'efficienza operativa decerebrata. Che sempre piú persone preferiscono vivere con meno oggetti e risparmi, ma vivere meglio e di più. Per poi fare degli esempi piú vicini a noi, occorrerebbe che Direzione, Funzioni e Linea smettessero di pensare che la morte degli altri é l'unica garanzia del proprio guadagno e cominciassero ad esigere dall'altro il cambiamento atteso.

La cultura della mediazione e della dialettica é la piú avversata dal liberismo capitalistico estremo nello stesso modo in cui é combattuta dai brigatisti. Se Menenio Agrippa fosse vissuto oggi sarebbe stato giustiziato da un nucleo armato plebeo o ridotto ad accattonare dalle lobbies capitalistiche patrizie. E qualcuno pensa che sarebbe stato meglio cosí.

Allora io corro da solo, fra delusioni giovanili e impotenze senili.
Corro da solo senza un'anima che mi guardi, che mi dica se ciò che faccio è male o bene; nessuno che mi mostri quello che ha fatto lui, o che prenda a discutere del lavoro comune o dell'azienda a cui si apparterrebbe.
Corro da solo il mio rally fermandomi sempre meno, su auto bollenti e rumorose dai sedili di ferro, dopo avere licenziato il navigatore in modo da avere tutta la gloria per me e rendere sempre piú soddisfatti gli spettatori sugli spalti, affamati dello spettacolo che solo la sofferenza e la morte possono offrire, e per arricchire un team delle corse fatto di gente che neppure conosco.
Io corro da solo, pigiando a fondo sull'acceleratore, ebbro della vertigine del mio destino che mi aspetta dietro una qualsiasi di quelle curve e che ora assorbe del tutto la mia dolorosa mente stanca.
Io corro da solo, e la velocità cancella il mondo attorno e la vita davanti.


mercoledì, marzo 08, 2006

METODO DI LAVORO SULL’ORGANIZZAZIONE MENTALE

 

 

Già in "Tecniche di svelamento" Edelstien (Edelstien - Trauma Trance e Trasformazione - Astrolabio Ed. 1982) cita un metodo ripreso da Le Cron (Le Cron  The complete guide to hypnosis - Barnes and Noble Books N.Y. 1971) per la diagnosi e la cura dei sintomi con l'ipnosi. I presupposti teorici dell’Ipnosi Costruttivista, implementati con quelli di altri "modelli" e col lavoro della terapia della Gestalt sviluppato da Pearls permette, attraverso il lavoro con le parti, di trattare anche sintomi legati a problemi "esistenziali".

Qui di seguito parleremo di “malattia” e “disagio” indifferentemente sul piano fisico che su quello mentale, con particolare attenzione ai problemi di somatizzazione psico-fisica, esempio lampante di come la mente lavori indistintamente attraverso il corpo e l’intelligenza delle persone.

 

IL METODO

 

Essenzialmente consiste nell’interrogare la Mente Inconscia del paziente, generalmente attraverso segnali Ideo - Motori si/no, dialogo con l’inconscio, (spirito guida, angelo custode), per conoscere origini storiche, dinamiche e scopi del sintomo, considerando come ipotesi che il sintomo è un segnale da ascoltare, che desidera il “bene” della persona. Per poterlo fare occorre possedere una "griglia" delle possibili origini, cause, scopi di qualunque sintomo, che verrà comunicata al paziente, a scopo orientativo, da sveglio o in trance. Una volta ottenuta così dal paziente la lista relativa al sintomo, che generalmente consta di più voci, si interviene specificamente su ciascuna, fin quando la Mente Inconscia conferma il lavoro, di ciascuna e complessivo, è riuscito.

 

LA GRIGLIA ORIGINARIA DI LE CRON - EDELSTIEN E LE MODIFICHE:

 

Secondo Le Cron - Edelstien le possibili origini, cause e scopi del sintomo rientrano in queste categorie:

 

avvertimenti - esperienze - autopunizioni - imprinting - vantaggi secondari - conflitti - identificazioni.

Alle definizioni portate dagli autori si possono aggiungere altre categorie come:

 

a) convinzioni - decisioni - emozioni - relazioni - punizioni di altri - vantaggi primari;

 

b) se nell’analisi o se la Mente Inconscia segnala che nessuna delle precedenti categorie si applica allora si possono considerare queste altre: bisogni – vite precedenti - istigazioni (prevalentemente non verbali) - fantasie - autosuggestioni.

 

SCHEMA GENERALE DI INTERVENTO

 

Lo schema generale che presentiamo si divide in tre fasi, analisi/diagnosi, cambiamento, proiezione nel futuro, comprendenti sei passaggi:

 

 1. Analisi, ricerca sintomi/disagi; 2. Individuazione e applicazione dell’intervento terapeutico; 3. Riorganizzazione; 4. Ricerca e integrazione delle risorse ed uso dell’intelligenza personale; 5. Patto e impegno a a cambiare/guarire; 6. Compiti da svolgere.

L’ordine cronologico qui di seguito dettagliato naturalmente rispecchia un esigenza didattica ma è da intendersi “modellabile” alle personali esigenze del nostro paziente/cliente.

 

1. Analisi, ricerca sintomi/disagi.

 

- Avvertimenti (sintomo): quando lo scopo (o uno degli scopi) del sintomo (problema) è segnalare, in maniera metaforica o meno, l’esistenza di un altro problema non risolto. (Es. di intervento applicare il metodo al problema vero e poi chiedere la sparizione dell’"avvertimento", dialogo con la parte problema).

 

- Esperienze: episodi specifici della storia della persona (qui occorre fare attenzione nel lavoro, terminandolo solo quando tutti gli aspetti problematici dell’episodio sono stati risolti).

 

- Autopunizioni: nel caso in cui il sintomo è l'effetto di un’azione puntiva di una "Parte" nei confronti della persona, per lo più risalente al periodo infantile.

 

- Conflitto tra "Parti inconscie": (possono essere più di due), fra conscio e

inconscio, oppure con altre persone (del passato o del presente), il sintomo è l'effetto finale di una incongruenza inconscia tra parti diverse.

 

- Punizioni di altri: la persona produce sintomi e problemi per punire (anche solo        fantasticamente) qualcun altro.

 

- Imprinting: messaggi dell'ambiente che sono stati accettati dalla persona e ai quali si conforma e/o ubbidisce quali le profezie sul suo destino, le attribuzioni di qualità o difetti, le definizioni, ricevute e/o apprese.

 

- Episodio traumatico: un avvenimento viene rimosso, ma essendo associato a emozioni e vissuti somatici, questi ultimi riemergono inconsciamente.

 

- Vantaggi Secondari: quando il sintomo serve a procurare vantaggi e/o evitare svantaggi.

 

- Identificazioni: di solito sono di due tipi: quelle compiute nel passato con persone di cui si sono introiettati anche sintomi, problemi, abitudini, destino; oppure le proiezioni di una persona sull’altra (per es. il marito che "vede" la propria madre nella moglie o la moglie vede il proprio padre nel marito).

 

- Convinzioni, Decisioni, Opinioni: che possiedono la caratteristica di una generalizzazione limitante (ad es.: "sasempre malato di...."), profondamente radicate, che nemmeno si sa di possedere, che orientano i comportamenti, e sono riconoscibili solo dall’analisi del comportamento o dal lavoro con le parti.

 

- Emozioni conscie o inconscie: il problema può essere in qualunque punto della catena, sentire - riconoscere - utilizzare - accettare e/o esprimere l'emozione stessa, le "emozioni Inconscie" sono quelle non percepite consciamente, spesso all'origine di numerosi sintomi fisici, psichici, e relazionali.

 

- Relazioni: a volte l’origine di un sintomo va ascritta a tutto un tipo di relazione avuto e stabilito con qualcuno.

 

- Vantaggi primari: quei comportamenti il cui scopo principale riguarda vantaggi "interni" del paziente e del suo modello del mondo, come se una "parte" producesse un sintomo solo perché c’è qualche altra parte da tenere sotto controllo.

 

- Bisogni, Fantasie, Autosuggestioni, Istigazioni: costruzioni che la persona ha fatto durante il corso delle sue esperienze.

 

- Vite precedenti: il sintomo viene dichiarato proveniente da esperienze di una o più vite precedenti (da gestire con l’ipnosi regressiva).

 

2. Individuazione e applicazione dell’intervento terapeutico

 

Essenzialmente riassumibile in “gioco delle parti” e costruzione del “dialogo con l’inconscio”, lavoro personalizzabile che permette di introdurre il discorso di “dieta mentale”, uso del nuovo vocabolario, non via da ma verso, uso dell’imperfetto verso la vita passata ed i problemi connessi, IPNOSI PROGRESSIVA.

La diagnosi stessa diviene uno strumento per ristrutturare le opinioni, convinzioni, credenze, fino ai valori stessi della persona.

Possono essere avviati lavori di dissociazione visivo-cenestesica (episodi traumatici, autopunizioni); trasformazione analogico-digitale, gesti significati e simboli (linguaggio del corpo), cancellazioni e sostituzioni dei messaggi e cambiamento delle sottomodalità sensoriali (imprinting); mediazione tra le parti (conflitto); selezione dei modelli di comportamento e dei pensieri da associare (proiezione - identificazione); ristrutturazione del significato attribuito attraverso ridondanze di comprensioni differenti dei giochi ecologici sottesi (vantaggi secondari); cambiamento di decisione o opinione con le induzioni regressive (decisioni o opinioni), utilizzando anche modelli più complessi come il cambiamento della propria storia, o delle metafore utilizzate nel narrare la propria storia o più modelli insieme tra quelli citati, di fronte a particolari condizioni o problemi.

 

3. Riorganizzazione.

 

Terminato il lavoro sulle origini o funzioni della malattia, qualora le Parti hanno interesse a mantenere la “malattia”, si procede alla loro RIORGANIZZAZIONE, individuate, o fatte individuare dall'inconscio del cliente, le funzioni positive della malattia, si invitano le Parti a scegliere e ad attuare comportamenti alternativi, più sani, adattivi ed ecologici del comportamento sintomatico. La modalità più funzionale a questo scopo è operare, con la complicità dell’inconscio, a crearsi la possibilità di fingere, immaginare, conoscere e creare:

 

Fingere per immaginare per rendersi consapevoli e realizzare.

 

Essenzialmente sono questi i semplici temi da proporre per identificare il nuovo personaggio a cui ci si vuole ispirare, l’idea di “te” che ti guida fingendo di essere cambiato/a.

 

4. Ricerca e integrazione delle risorse, uso dell’intelligenza personale.

 

Una volta ottenuto il consenso inconscio e conscio a guarire, ristrutturate tutte le obiezioni, rimossi tutti gli ostacoli, il cambiamento non si concretizzi. Per prevenire questa situazione è indispensabile sviluppare il lavoro proprio del counsellor,

individuare e attivare Ie RISORSE della persona adatte allo scopo da raggiungere, si tratta a volte di rendere semplicemente più esplicite le motivazioni, altre volte è sufficiente, e comunque è in ogni caso consigliabile, sollecitare le "Parti" che si occupano della fisiologia, dei cambiamenti somatici, ad intervenire, integrandosi e rendendosi utili con le loro capacità. Il nostro migliore alleato è l’inconscio “intelligente”, procedere quindi alla semina dell’idea che il problema è un problema di intelligenza, da lasciar decantare nel corso degli incontri, maturando al contempo ipotesi realistiche di cambiamento.

 

5. Patto di impegno a cambiare/guarire.

 

Qui ci sta tutto il lavoro di negoziazione e creazione degli obiettivi, del patto volto al cambiamento, della costruzione della nuova idea di “sé”, della complicità col proprio inconscio, della ricerca delle ridondanze esplicative collegate al cambiamento stesso.

 

6) Compiti da svolgere.
 

Si strutturano dei percorsi in cui il cliente, viaualizzando la guarigione, ne fissa le tappe 'e prende nota degli impegni che dovrà mantenere per facilitarne il processo (senso del tempo, time – line, danza che crea, rosa dei venti) questo passaggio sfrutta anche le proprietà di per sé curative della visualizzazione ipnotica nella progressione al futuro, della strutturazione delle “preghiere” personalizzate.

 

DETTAGLI SUL METODO DI LAVORO CON LE PARTI

 

1) Conviene contattare attraverso i segnali ideomotori la "parte" del paziente, più informata, saggia, che ha accesso a tutti i dati storici, consci e inconsci, oltre che le parti implicate nel problema.

 

2) Conviene altresì ripetere I’indagine sulle parti nelle sedute successive, spesso la prima volta la Mente Inconscia trascura qualcosa. Ridondare in ogni caso è fondamentale per fissare le trasformazioni in atto.

 

3) Al termine del trattamento è bene cercare eventuali altre "parti" della persona che si oppongono al cambiamento, le "resistenze" riconoscendone gli scopi sani e fornendo alternative, eventualmente rinegoziare il progetto con le nuove aggiunte. Fondamentale risulta l’allenamento a porsi nuove domande e al cambiamento, spesso a tale proposito nei compiti da svolgere si consiglia di fare una cosa nuova tutti i giorni.

 

4) Nella nostra esperienza quando il lavoro con le parti non funziona (benché correttamente applicato, almeno in stato di trance leggera ottenuta dopo un lavoro di rilassamento), si è in presenza di un'impasse sistemica (ECOLOGIA del sistema) dunque il problema va risolto a quest’altro livello. In parole povere il paziente è bloccato nei suoi comportamenti (anche Interni) dal ruolo che ha (oppure ha avuto e perpetua per inerzia) nel sistema cui appartiene (ad esempio in famiglia). Il "vantaggio secondario" è del "sistema" e non del paziente. Il lavoro può essere "bloccato" anche da alcune "decisioni" prese a livello inconscio in tenera età che non vengono facilmente scoperte o dichiarate (per es. la decisione di restare piccoli, non crescere, non diventare adulti).

 

CONCLUSIONI

 

II metodo è efficace e la nostra esperienza prova che ci si può condurre intere terapie utilizzando gli stessi passi. Inoltre è veramente utile in specifico per il trattamento delle malattie somatiche. Crediamo poi possa essere considerato un percorso che ci avvicina al lavoro vero  del “mentore” che è in noi.

 

Fra i vantaggi segnaliamo:

 

1) Lavorando attraverso il dialogo con l’inconscio, strutturato col gioco delle parti e mantenuto con la danza che crea (rituale personalizzato, come una “preghiera”) si può andare alle radici esistenzali del problema, permettendo un ri-modellamento dell’adattamento/accomodamento (intelligenza) della persona.

 

2) Generalmente i benefici vanno ben oltre il singolo problema perché le "origini" sono spesso fonte anche di altre difficoltà e comportamenti inappropriati. Si arriva ad ottenere una nuova organizzazione mentale con particolare attenzione al controllo dell’ecologia dell’individuo.