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martedì, ottobre 26, 2010


" Noi siamo quel che è rimasto dopo le nostre scelte…"

 

Questo è forse il motivo per cui siamo portati ad imputare tanto peso al passato e, non appagati, a ricercare in ipotetiche vite precedenti le ragioni del nostro essere di come siamo al presente, al di la del reale ed importate contributo terapeutico che lasciano le terapie d'ipnosi regressiva.

I nostri valori, le nostre credenze, sono frutto di esperienza, rientrano tra le nostre conoscenze e come ogni esperienza tendiamo a volerla mantenere e riprodurre, cercando di applicarla come sistema di comprensione per ogni nuova cognizione.

Per conoscere abbiamo bisogno di modelli, senza non siamo in grado di farlo; i nostri modelli sono la base delle nostre spiegazioni e conoscenze.

Non si apprende nulla di nuovo senza la modificazione dei modelli dai quali generiamo la nostra esperienza.

Conoscere è cambiare, cambiare è lasciare, decidere, dividere, modificare la metodologia dalla quale dipende la nostra consapevolezza.

I modelli che apprendiamo da bambini sono la base da cui partono le nostre conoscenze; la nostra intelligenza si sviluppa partendo da questi, tutto può originare da semplici matrici apprese da bambini, dalle quali si è poi sviluppato il nostro mondo e le sue regole. Le nostre conoscenze partono da come siamo stati per farci diventare come saremo, infanzia ed adolescenza lasciano un segno indelebile nell'adulto, introducendolo in un flusso di potenzialità che va ad accrescere l'idea che abbiamo di noi e della nostra identità.

L'ipnosi si deve imparare da bambini!

Portando l'attenzione sui processi d'apprendimento è bello notare come ogni forma d'apprendimento sia una specie di evoluzione per l'individuo. La crescita è un'evoluzione e dunque è strettamente collegata ad esso.

E' fondamentale, dunque, pensare all'apprendere come ad un processo di adattamento; la crescita è di per sé un insieme di cambiamenti adattativi dell'individuo alla vita.

La trance ipnotica intesa come modificazione dello stato mentale è la migliore risposta di adattamento per l'individuo; permette di apprendere, aprendo il canale percettivo ed abbassando la critica.

L'attività creativa del nostro cervello risulta sempre più marcata, rispetto agli elementi di realtà condivisi con le altre persone; noi immaginiamo prima di percepire ed influenziamo completamente ogni percezione, attraverso il mondo della relazione con gli oggetti e con le persone, modificando con le nostre aspettative ed i nostri desideri l'intero mondo di realtà.

Difficile considerare il sottile diaframma che divide il sogno dalla realtà, tanto che potrebbe risultare più semplice e corretto considerare la realtà come un sogno condiviso con gli altri.

Noi siamo continuamente influenzati dal modo in cui anticipiamo gli eventi (G. A. Kelly). Se pensiamo alla nostra immagine del mondo, questa è prodotta dal nostro cervello utilizzando tutti gli input percettivi che si trova a possedere, usando al contempo i dati incamerati nella memoria e tutti gli elementi collegati alle esperienze avute in precedenza. Pur portando con noi l'idea di realtà condivisa, ogni nostra esperienza risente tantissimo di come ci siamo immaginati quello che sarebbe potuto essere, da come immaginiamo come sarà.

Considerando l'esperienza dell'uomo, possiamo dire che ogni realizzazione umana passa attraverso due precise fasi: la prima è il costruire un'immagine, l'immaginare una situazione ed i suoi sviluppi; la seconda è collegata alla presa di coscienza o consapevolezza della situazione. Non sempre però si è in grado di possedere sufficienti esperienze da poter considerare l'immagine e, dunque, la conseguente consapevolezza, la fase preparatoria alla possibilità di realizzare un'esperienza; è una fase particolare e dal momento che l'esperienza ancora non esiste, dev'essere inventata. Per poterla attuare è necessario fare finta che possa realizzarsi e questa finzione permetterà di immaginarsi l'esperienza, rendersi consapevoli, fino a realizzarsi (McGill).

Il bambino conosce molto bene le circostanze necessarie alla realizzazione di qualunque esperienza, l'adulto se n'é dimenticato. Già all'età di due anni un bambino impara a far finta, è in grado di fare come se fosse, da quel momento in poi il suo apprendimento accelera permettendo grandi realizzazioni attraverso continui lavori di immedesimazione ed emulazione, finge per poter essere.

L'intelligenza si sviluppa attraverso dei picchi discontinui, non si accresce in un processo graduale; il bambino utilizza l'intelligenza per necessità ed in base alle situazioni che si trova ad affrontare mette alla prova la sua capacità di adattamento, accresce la sua capacità analitica, attraverso la raccolta di dati sensoriali e la capacità elaborativa, sviluppando in un primo tempo un'intelligenza concreta, per poi arrivare ad affrontare lo sviluppo dell'intelligenza astratta, ipotetico deduttiva; qui si fissano le basi del pensiero analitico, dei suoi sviluppi, dei limiti e delle possibilità ad esso collegati.

Ogni comportamento è come collegato ad una sequenza di operazioni, parte delle quali sono analizzabili dal punto di vista della consapevolezza della persona, fino ad arrivare a prevedere procedure e liste di comandi nelle quali ogni persona è impegnata a dare la propria disponibilità, se desidera raggiungere la propria realizzazione.

Fin da bambini si apprendono e si memorizzano metodi, procedure e listati di comandi; fin da bambini si apprende l'ipnosi, si sviluppano stati mentali che vengono mantenuti come riferimenti collegati alla vita stessa. Viene da sé quanto sia importante tutto ciò che si lega alle esperienze durante le fasi evolutive, le fasi di apprendimento di ogni individuo, in ogni momento della vita, con specifico riferimento alle prime fasi di sviluppo dell'intelligenza concreta ed ipotetico deduttiva.

Lo strutturarsi dell'esperienza, dunque, crea un insieme di limiti e possibilità per la persona che nella complessità dell'esperienza rimangono strettamente collegati tra loro, rendendo impegnativo ogni tentativo di miglioramento delle proprie possibilità, a scapito dei limiti ad esse collegati.

 

"Il fine di tutta la nostra esplorazione è quello di arrivare là dove siamo partiti e di conoscere quel luogo per la prima volta". (T. S. Eliot).

 


terapia episodica

 

Spesso le persone non chiedono un appuntamento per risolvere un problema, ma per fare un'esperienza.

La nostra può diventare terapia episodica, quando non segue un percorso strutturato.

Al pari della terapia focalizzata sulle risorse, il nostro gruppo di ricerca nell'ambito delle terapie basate sull'ipnosi (Marco Chisotti, Ennio Martignago, Antonello Musso e Paola Sacchettino), ha ripreso il termine coniugato da Keeney per definire uno stile terapeutico, la R.F.T. (Resource Focused Therapy), dove l'attenzione viene costantemente orientata alla ricerca delle risorse del cliente. Al pari della terapia episodica sottolinea l'attenzione che va riposta nel considerare ogni incontro come un'esperienza a sé un momento dove attraverso la relazione avvengono dei cambiamenti strutturali in ognuno, terapeuta e cliente. Alle volte i cambiamenti strutturali divengono cambiamenti organizzativi, cambiamenti che interessano l'organizzazione mentale stessa della persona. Ciò che più conta è portare il cliente verso le proprie risorse, quindi lasciarlo continuare nella sua narrazione fino a che non tende ad uscire dalle proprie risorse, a quel punto si interviene nuovamente per riportarlo sulle risorse. Questo atteggiamento terapeutico permette di focalizzarsi sulle possibilità che notoriamente sono svanite in chi denuncia un problema o avverte delle difficoltà. Permette inoltre di affrontare e risolvere un tema alla volta, il rischio che si corre spesso in terapia è proprio quello di correre dietro a mille rivoli narrativi senza riuscire a risolvere nulla, bensì entrando nella complessità ingestibile del tutto indifferenziato in cui si trova la persona. Oltremodo l'attenzione alle risorse ed alle esperienze aiuta a non cedere alle lusinghe fuorvianti che si ottengono nel dar spazio a diagnosi ed aspettative terapeutiche che tendono a generare, a loro volta, comportamenti lusinghieri da parte del cliente rispetto alle attese del terapeuta, a sua volta orientato dalle sue teorie e conoscenze nei confronti del cliente. Non la ricerca di patologie, ma lo sviluppo di risorse.

Ecco dunque nascere un percorso terapeutico che genera spiegazioni solo attraverso sequenze di azioni suggerite ed adottate dal cliente durante la terapia. Ecco in sintesi il percorso, nei punti, suggerito dall'approccio alla terapia esperienziale, riportato da Keeney nel suo libro "Terapia focalizzata sulle risorse".

Il terapeuta deve raccogliere il minor numero di informazioni dal paziente o quelle ritenute essenziali, per evitare un aumento della complessità e perché ogni paziente ha una riserva infinita di contraddizioni, cambiamenti continui, credenze nelle quali sarebbe facile perdersi, inutilmente.

Utilizzare la minima quantità di tempo nel raccogliere informazioni, focalizzando ogni singola seduta sulle sue risorse disponibili, mantenendo la sua attenzione sul momento emotivo/esperienziale che sta vivendo "qui ed ora".

Al contempo va utilizzata la minor quantità possibile di teoria in quanto il terapeuta non deve arroccarsi dietro la stessa, quanto deve fidarsi di se stesso e delle sue tecniche. Le teorie servono per esercitarsi, ma ciò che conta durante la terapia è il coinvolgimento di se stesso come terapeuta nella relazione con il cliente, all'interno della seduta.

Inoltre il terapeuta deve fare il minimo, ascoltando il cliente fino a che rimane nel contesto delle sue risorse, interrompendolo solo nel momento in cui tende a vittimizzarsi, allontanandosi dalle sue qualità positive, per riportarlo sulle sue risorse e dandogli il giusto equilibrio.

E' bene che il terapeuta rimanga "quieto" e, soprattutto, niente psicologia, che porterebbe fuori dal campo delle risorse per cadere nuovamente nella logica delle teorizzazioni, ovvero occuparsi di condotte vuote di senso.

Niente sociologia, niente ideologia, ma improvvisazione perché il paziente è una teoria a sé.

E' possibile avere un'inversione del senso comune attraverso un comportamento esplorativo dove la curiosità del terapeuta è fondamentale.

Viene ribaltato il senso comune: non si deve partire da un significato per descrivere le singole azioni, bensì utilizzare le singole azioni per giungere ad un significato.

La vita non è altro che l'emergere delle nostre singole azioni ed esperienze, dunque "agire per vedere e non vedere per agire".

In una visione sistemica contestuale che tale approccio suggerisce, ci si deve basare totalmente sul vissuto del cliente e di tutte le persone che interagiscono con lui a creare quella rete di relazioni, che mantengono lo status quo, sia solutivo, che problematico.

Ad es. se il panico del terapeuta è reattivo al dubbio che un cliente manifesta relativamente al suicidio, egli contribuisce potenzialmente a rinforzare la credenza del cliente nella realtà del suicidio stesso.

Nella terapia non esiste un narratore ufficiale, che implicherebbe dei ruoli prestabiliti terapeuta/paziente, con tutte le aspettative e i limiti che detti ruoli portano con sé, ma una relazione circolare, come già nell'ipnosi il guidare e l'essere essere guidati.

Il flusso delle spiegazioni va bloccato e si deve lavorare sul "non sense", per aiutare il cliente a costruire nuove strade con cui dare un senso alla propria vita.

Partendo dal presupposto che un fatto non è come è, ma come lo descrivi, aiutare un cliente vuol dire ridisegnare con lui (in corresponsabilità), una nuova mappa di sé e della sua realtà.

Sono le domande non banali, domande che non hanno ancora una risposta e le reazioni del cliente a queste domande che devono incuriosire il terapeuta; la terapia va vissuta più come teatro, in cui allenare il cliente al personaggio desiderato. Maggiore è il coinvolgimento terapeuta/paziente che si riesce ad ottenere, maggiore è l'indice che ci si trova in un contesto di risorse, dove il comportamento assurdo che rompe gli schemi è legittimo e la sperimentazione è benvenuta.

Esistono metodi preventivi che permettono alla persona di lavorare su se stessa, senza il pericolo da parte del terapeuta di fare danni, perché l'intervento non è medicalizzato o terapizzato.

Alcune esperienze le persone possono farle con un medico, uno psicologo, ma anche con un filosofo, un counsellor, un coach o con il proprio mentore.

 

 


L'esperienza tra costruzione

e conquista:

chi siamo da dove veniamo dove andiamo.

 

La realtà e i suoi pezzi, meglio detto come fare a pezzi la realtà!

 

"Sotto l'immagine rivelata ce n'è un'altra più fedele alla realtà e sotto quest'altra un'altra ancora e di nuovo un'altra ancora fino alla vera immagine di quella realtà assoluta che nessuno vedrà mai". (dal film: "Al di là delle nuvole" di W. Wenders, M. Antonioni).

 

L'epistemologia, dal greco episteme  (scienza) e logos (discorso), è lo studio della teoria della conoscenza; è quel ramo della filosofia che indaga le origini, la struttura, i metodi e la validità della conoscenza e, di fondo, di chi pensiamo di essere.

Per epistemologia s'intende, dunque, "discorso critico intorno alle scienze" (naturali e matematiche). Oggi viene anche considerata come "Teoria della conoscenza", nel senso di riorganizzazione sistematica delle procedure che rendono possibile la descrizione, il calcolo o la previsione controllabile di un oggetto, base fondamentale per  l'uso della nostra intelligenza anticipatoria.

Per rappresentazioni epistemologiche s'intendono le rappresentazioni degli eventuali percorsi conoscitivi riguardo un particolare concetto matematico o scientifico in generale. Tali rappresentazioni possono essere messe a punto da un soggetto apprendente o da una comunità scientifica, in un determinato periodo storico.

Il linguaggio e la realtà sono strettamente connessi, lo si può facilmente comprendere se si considera il linguaggio non come una semplice descrizione della realtà, linguaggio denotativo, ma come co-costruttore della realtà, linguaggio connotativo. Generalmente si sostiene che il linguaggio sia una rappresentazione del mondo; noi sosteniamo esattamente l'opposto, cioè che il mondo è un'immagine  del linguaggio. Il linguaggio viene prima ed il mondo ne è una conseguenza.

Pensiamo alla comprensione: altro non è che un tipo di accordo complesso e riflette le condizioni che hanno reso possibili le interazioni dei partecipanti alla conversazione stessa, dove da un lato un individuo apprende e dall'altra un altro insegna, sia in modo diretto, che in modo indiretto.

In realtà la comprensione prevede un'interazione istruttiva, dove esiste un oggetto esterno di conoscenza (qualcosa da apprendere), e un oggetto interno all'esperienza dell'individuo; ogni oggetto del reale porta con sé una spiegazione o è intriso di spiegazioni differenti.

Gli esseri umani conoscono il mondo tramite i messaggi trasmessi dai sensi al cervello.

"Il mondo é presente all'interno della nostra mente, la quale é all'interno del nostro mondo" ci ricorda Edgar Morin nel "Metodo"; noi siamo come prigionieri del senso che abbiamo dato al nostro mondo, lo conosciamo e ce lo portiamo dietro, con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, le sue spiegazioni, le scoperte e le invenzioni.

Siamo sempre più imbrigliati in sistemi cognitivi, smisuratamente complessi e generalizzati, da non essere più in grado di dettagliare con precisione i confini del sistema educativo di riferimento; in un individuo in crescita la comprensione segue l'esperienza diretta; tutta l'attività umana, ancor prima di essere riflessione scientifica, comunicazione, contemplazione, o quant'altro, è una continua pratica di perseguimento delle conoscenze, attraverso la creazione di strumenti e attrezzature concettuali, fino ad arrivare ad una completa distinzione tra esperienza e conoscenza, una distinzione che ci allontana sempre di più dai dati di realtà comunemente intesi.

Emerge, dunque, sempre più l'esigenza di creare processi di insegnamento/apprendimento conversazionale in questa società del controllo generalizzato e della comunicazione spettacolarizzata, creare un mondo di comprensione o meglio ancora di comunione, attraverso il semplice conversare.

Conversare vuol dire dunque creare un ponte tra insegnamento e apprendimento: lo stesso ponte che separa e unisce l'insegnamento e l'apprendimento, consente di intercettare la radiosa essenza di un luogo comune dove l'insegnamento e l'apprendimento possano incontrarsi e collegarsi insieme.

Così si mette con facilità in discussione un altro famoso proverbio molto diffuso, e cioè quello che dice "vedere per credere". E' corretto dire "credere per vedere!" Occorre capire ciò che si vede, diversamente non si è in grado di vederlo.

La mente è guidata dai sensi che son guidati dalla mente!