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giovedì, agosto 24, 2017

Desiderio libero arbitrio e la favola dell'uomo moderno. Marco Chisotti.

Desiderio libero arbitrio e la favola dell'uomo moderno. Marco Chisotti.

Chi conosce la musica può vedere dietro a questi grafici una sonata per flauto dolce molto semplice utile per imparare ad usare lo strumento, o una la canzone dei Beatles … lascia che sia. Quando siamo nati non ci hanno dato uno spartito da seguire, nessuno ricorda uno spartito preciso come questo, ma senza rendercene conto, ed io sostengo tuttora senza rendercene conto, sappiamo cosa dobbiamo fare, non sempre è vero, ma qualcosa facciamo sempre, e sappiamo anche quando «Let it be!». Io mi sono accorto, per esempio, di saper scrivere meglio se detto le mie parole al computer, questo non fa di me uno scrittore, mantiene in me l'animo dell'oratore, considero questo uno escamotage della mia intelligenza, ogni tanto ci litico con il mio iPad, scrive cose diverse da quelle che gli detto, ma è poco tempo che ha sviluppato questa grande competenza, pochi anni da che comprende ciò che gli dico e lo riporta per scritto, molte volte interpreta al posto mio e rileggendo considero migliore la sua interpretazione a quello che stavo dicendo e lascio la sua. Simpatico questo mio incrocio uomo macchina non trovate? Presto sarà una cosa normale dettare ciò che vogliamo scrivere, ne sono convinto come è stato normale passare dalla macchina da scrivere al computer, il computer a memoria di quello che scrivi la macchina da scrivere no, entrambi usano il linguaggio dei caratteri come interfaccia, ma solo il computer ricorda. Avendo molti problemi legati alla memoria ho avuto molti problemi a considerarmi uno studioso, mia idea di studioso non reggeva, dimenticavo con troppa facilità quello che stavo facendo, c'erano sempre cose più interessanti da fare che studiare alla vecchia maniera, ci ho messo molto tempo a capire che studiare era allenarsi allo studio, rimanere per un tempo sufficiente perché potessero avvenire delle cose pur ripetendo sempre le stesse. Oggi studio volentieri con la convinzione di capire come sono fatto, e come sono fatte le persone che stanno attorno a me, non so se questa è la storia che mi racconto, ma sicuramente questo è ciò che sto facendo.
Sinceramente a questo punto la mia testa avrebbe già preso una strada differente ma cerco di rimanere su un tema alla volta per rendere esportabile il mio pensiero. Combatto continuamente con domande a trabocchetto nelle quali, non trovando risposte, naufrago, c'è chi va in barca vela per avere per avere le stesse sensazioni, diciamo che a me costa molto meno farmi domande che andare a solcare i mari. È quanto meno divertente seguire la mia organizzazione mentale, non sempre posso parlare di organizzazione, sarebbe meglio parlare di esperienza mentale, come dice la conoscenza, almeno quella epistemologica, lo studio della conoscenza per l'esattezza, per conoscere ci vogliono due coscienze una che fa le cose, l'altra che dice come aver fatto quelle cose. Esistono almeno due sé, Uno che vive le esperienze, il sé esperienziale, che non ha memoria, ma registra la differenza tra i vari picchi di esperienza, ed Uno che vive la storia, possiede molta memoria che lega continuamente alla storia che racconta, alle volte è Uno a scegliere alle volte è l'altro Uno, come diceva mia figlia quando ha imparato a comunicare, Uno e l'altro Uno al posto del secondo, non ce n'è uno più importante dell'altro anche se, tendenzialmente, il sé narrativo vince, dal momento che é in grado di giustificarsi agli occhi degli altri ed a se stesso.
A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi cosa c'entra il desiderio ed il libero arbitrio? Io credo che noi non possediamo libero arbitrio dal momento che il libero arbitrio deve essere assoggettato a un unico sé per essere tale. Non ho mai visto due liberi arbitri dare la sensazione di guidare una persona, a questo punto per me subentra il desiderio come forma massima di aspirazione, decisione, volontà, mi rifaccio al concetto di desiderio di Lacan, il desiderio come massima aspirazione alla propria vocazione interiore. Tutti quanti possediamo più di un sé, il concetto di individualità non regge più, per vivere però abbiamo bisogno di riferirci a un unico «esserci» su questa terra, almeno uno alla volta, in effetti siamo liberi di cambiare, ma nel tempo, dandoci il tempo di giustificare il nostro cambiamento, non solo agli altri, ma sopratutto a noi stessi. Il cambiamento credo che sia semplicemente cambiare il proprio sé dominante, quello che per certi versi suggella il nostro io, l'idea di noi stessi, la nostra guida momentanea.
Sento che sta subentrando il mio sé narrativo ed il mio bisogno di dare un senso compiuto alla mia storia. Si può vivere tranquillamente con il proprio sé esperienziale, ma se si introduce l'idea della crescita personale allora è inevitabile entrare nel sé autobiografico. Siamo dunque il frutto della nostra storia? Non la storia con la logica e la cronologia, ma la storia di quello che crediamo di aver vissuto, la storia che ci raccontiamo, la storia che ascoltiamo ogni volta che scegliamo, decidiamo, la domanda era retorica la risposta è qui, quando parliamo di noi stessi parliamo attraverso la nostra storia, la nostra forma definibile solo attraverso memoria e linguaggio, quando viviamo siamo nel processo, il nostro vivere esperienziale, dove si perde la cognizione del tempo perché il tempo dimora nella nostra storia cronologica.
Il linguaggio non è semplicemente denotativo, è costruttivo, costruisce la realtà che viviamo, ma non si ferma ad essere semplicemente una costruzione, la storia che, attraverso linguaggio, costruisce la realtà che descriviamo è evocativa, evocare vuol dire letteralmente chiamare fuori, come elevare qualcosa su tutto il resto, il nostro sé evocativo è qualcosa che noi rileviamo come un noi stesso sugli altri stessi possibili, noi desideriamo essere non scegliamo ne vogliamo, desideriamo perché desiderare e la migliore espressione evocativa di tutti i nostri sé.
Il buon senso mi dice che l'articolo potrebbe finire qui ma il mio senso compiuto mi fa continuare, ora non so dirvi se il buon senso è esperienziale o narrativo, né se il mio senso compiuto é narrativo o esperienziale, alla fine il fatto che continuo a dettare è ciò che conta, non quello che penso o penso di aver pensato di dover pensare che conta. Dal momento che la coscienza ha che fare con la somma di molte funzioni tra loro connesse, pur noi avendo un'unica sensazione e percezione e memoria della nostra coscienza, il lavoro che la nostra mente, PsicoBíoEmotiva, fa per noi è quello di darci un senso compiuto, coerente ed unico del nostro vivere. Quando affrontiamo un'esperienza con la paura si affacciano alla nostra mente decine e decine di pensieri che rallentano e distorcono il nostro processo, la paura è frutto di un sé narrativo, il se esperienziale sa cosa va fatto, ma ha più difficoltà ad apprendere modi diversi di essere, l'apprendimento ha che fare con la storia che ci raccontiamo, è legato al mito, alla magia, alla fede, ed alla ragione, l'apprendimento ci cambia, anche se attinge a piene mani dall'esperienza, è sensibile alla nostra storia, quella che ci raccontiamo naturalmente, ma anche artificialmente.
L'ipnosi è un'esperienza trasversale rispetto al mondo esperienziale, quello che viviamo, ed al mondo narrativo, quello che ci raccontiamo di aver vissuto, naturalmente la memoria vince sull'esperienza, in questo molte volte le esperienze non insegnano, ma dal momento che l'ipnosi è un'esperienza che lavora con stati di coscienza differenti, esperienziali e narrativi, allora è l'anello di congiunzione tra l'essere ed il fare, è ciò che dà natura al nostro esistere. L'ipnosi riesce a farci concentrare in modo continuativo su un'unica esperienza alla volta, rendendo il nostro gesto puro, mantenendoci in una condizione di flusso, un vuoto esistenziale dove ha spazio unicamente la nostra esperienza, solo in un secondo momento, attraverso un dialogo interiore, dove l'interlocutore é il nostro inconscio, ricostruiamo il sé biografico, in modo autobiografico, da qui in poi cominciamo ad «esistere», ma questa che vi ho raccontato è la favola dell'uomo moderno, può non piacere l'automobile, ci sarebbe magari piaciuto più andar a cavallo, può non piacere lo smartphone, ma la conoscenza obbliga, la visione di Steve Jobs ha cambiato il mondo dove viviamo e non è possibile tornare indietro, la favola dell'uomo moderno passa attraverso le neuroscienze e l'approccio con gli stati mentali, pur non dimenticando l'esperienza fisica, unisce inevitabilmente la narrazione con l'esperienza dandoci emozione, l'emozione è l'evocazione necessaria al vivere. Le neuroscienze, attraverso i nostri stati mentali, mettono in luce le esperienze che declinano in noi desiderio e libero arbitrio, sono la favola moderna inevitabile, chi non cambia passo fa la fine di chi ha continuato a leggere il manifesto non accorgendosi che la rivoluzione industriale aveva cambiato per sempre il mondo, è inevitabile che il nostro sé tecnologico, attraverso i social network ed affini, ci cambi il nostro sé biografico a spese del nostro sé esperienziale, credere per essere … essere per credere, ma meglio ancora «Let it be», che tradotto col mio pessimo inglese dice: «Fregatene», vivi e let it be.

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